SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CIRCOLO DI VIETRI SUL MARE

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mercoledì 17 ottobre 2012

Walter, quel silenzio assordante


Francesco Saverio Garofani - Europa


A me dispiace la decisione di Walter Veltroni di non ricandidarsi. Ne comprendo le ragioni, apprezzo le argomentazioni con le quali l'ha spiegata e so che quella scelta, a lungo meditata e certamente sofferta, ha poco a che fare con l'aggressiva campagna del rottamatore (che pure non ha tardato ad intestarsene il merito). 

Dispiace non tanto per il vuoto di esperienza ed autorevolezza che pure lascerà in parlamento, ma perché la trovo ingiusta. Profondamente ed intimamente ingiusta. Vale per Veltroni, ma vale per altri: le storie personali contano. Contano le idee, le battaglie fatte. Conta l'esperienza, conta aver guidato, aver indicato una strada, aver esercitato una responsabilità. Questo patrimonio è certo personale, ma non solo. Appartiene anche alla comunità con cui si è vissuta l'esperienza politica. Appartiene al partito, se un partito non è solo un cartello elettorale, un autobus che si prende per far carriera.

Forse qualcuno potrà dire che anche un passo indietro, in certi momenti della storia, è un atto di generosità, un modo di rendere un servizio alla propria parte, ed è vero. E sono sicuro che questa consapevolezza ha inciso sulla scelta di Veltroni.

Del resto abbiamo detto tante volte, spesso senza troppa convinzione, che la politica è servizio, ma che per essere davvero tale occorre che qualcuno lo richieda questo servizio. E qui sta il punto: a me stupisce, appare ingiusto, in qualche modo incomprensibile, che il partito (nella sua quasi totalità) abbia accolto la decisione di Veltroni, uno dei fondatori, il primo segretario del Pd, senza reagire. Senza dire: Walter, ripensaci.

Invece no. Invece siamo tutti in silenzio. Inermi e inerti, ostaggi del conformismo, delle convenienze, dell'impotenza, della paura dell'impopolarità, della corrente che spinge in direzione della rottamazione collettiva. Così, nelle interpretazioni mediatiche, il gesto di Veltroni è solo l'inizio di una resa dei conti che prima o poi travolgerà l'intero gruppo dirigente.

Del Pd, solo del Pd, naturalmente. I giornali della destra titolano "Fuori uno". Gli altri sottintendono che una simile decisione era inevitabile in questo clima e riconoscono a Veltroni un merito, soprattutto: aver battuto sul tempo dell'annuncio tanti altri "notabili" sotto assedio, il cui destino ora diventa più incerto.

A me, a dire il vero, sembra più incerto il destino di un partito che, pur di compiacere l'emotività della piazza, si priva dei suoi dirigenti più rappresentativi ed autorevoli. Un partito senza amicizia, senza vincoli di solidarietà e di gratitudine, dove regnano calcoli personalistici e diffidenze. Un partito che non distingue, che, pur di non scegliere, si appiattisce nella fredda, burocratica, stupida logica della contabilità dei mandati. Che vale per tutti nello stesso modo, per i leader e per i mediocri. Per i competenti e per gli assenteisti.

A me sembra più incerto il futuro di un paese che non ammette che il rinnovamento, il ricambio delle classi dirigenti, la meritocrazia sono tutt'altra cosa.

Però siamo a questo punto.

E nello stesso tempo siamo il paese dove accendi la tv ed è raro non imbattersi in un cantante che spopola da una quarantina d'anni, in una conduttrice o un conduttore coevi, in un giornalista che ci spiega le cose da tre decenni, e sempre con intatta indignazione. Basterà aspettare qualche anno e assisteremo ad una scena simile: un attempato ex rottamatore che dovrà difendersi da un nuovo rottamatore che indicandogli l'orologio gli dirà: tempo scaduto, tocca a me. Il tutto davanti alle telecamere di Fabio Fazio (in Rai dai primi anni Ottanta, ma lui è bravo, e soprattutto non fa politica). 

Fonte: Europa

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