SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CIRCOLO DI VIETRI SUL MARE

SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CIRCOLO DI VIETRI SUL MARE

lunedì 3 settembre 2012

Dalla Chiesa e La Torre trent'anni dopo


Il ricordo di Carlo Alberto Dalla Chiesa e Pio La Torre. A rendere omaggio alla loro storia e al loro sacrificio ne hanno parlato Virginio Rognoni, Giancarlo Caselli, Laura Garavini, Giuseppe Lumia, Franco La Torre e Nando Dalla Chiesa

Dalla Chiesa, La Torre
Giuseppe Lumia: La Torre e Dalla Chiesa si conobbero a Corleone alla fine degli anni 40, nel periodo in cui Totò Riina reclutava e coltivava i nuovi capi come Luciano Liggio. Erano gli anni in cui grazie a Placido Rizzotto iniziava una lotta alla mafia cosciente ovvero quella che per la prima volta coniugava legalità e sviluppo.
Caddero nel 1982 (il 30 aprile Pio La Torre e il 3 settembre Dalla Chiesa) ma la loro lotta è ancora all'avanguardia. Lo Stato arrivò dopo perché ciò che volevano attuare diventò legge solo il 13 settembre. La loro idea di lotta era chiara: per sconfiggere la mafia “dobbiamo spostarci all'antimafia del giorno prima e mai arrivare sempre dopo”. Due persone moderne che capirono che mai più nel nostro paese si può mettere in secondo piano la lotta alla mafia. Le mafie sono il male assoluto: questo è ancora il loro insegnamento.

Franco La Torre. Quello di mio padre fu l'impegno di una vita per il riscatto della propria terra e per il riscatto delle persone dalla loro posizione di subalternità democratica. Il blocco di potere della mafia, il suo elemento più criminale gli si mise contro. Metaforicamente quello che gli successe è un po' come il congresso di Vienna che pose fine all'epopea napoleonica: la vittoria delle forze reazionarie che affermarono come la rivoluzione francese non fosse mai esistita. La stessa cosa è la forza della mafia che si riorganizzava per fare in modo che l'antimafia non fosse mai esistita. Ma l'insegnamento e la lotta di mio padre è ancora così viva ancora oggi.

Giancarlo Caselli. Dalla Chiesa nell'intervista rilasciata a Giorgio Bocca disse che la morte di Pio La Torre fu legata alla lotta contro la mafia ma che fu decisiva la sua legge del reato per associazione criminale (l. 416bis) e le misure contro il patrimonio della Mafia. Questa è l'eredità tragica ma fondamentale che ancora oggi rappresenta i pilastri fondamentali della lotta antimafia.

Non avrò riguardi per la parte politica dalla quale attingono i suoi grandi elettoridisse Dalla Chiesa ad Andreotti che rispose singolarmente parlando della morte di un mafioso con in tasca 10 dollari americani. Una risposta ambigua, una minaccia? Non lo so. Ma so bene che i cento giorni che separarono la morte di Pio La Torre da quella di Carlo Alberto Dalla Chiesa furono per il generale momenti di isolamento e solitudine dove sentiva che la terra attorno a sé veniva bruciata. Viveva nel continuo annuncio di un possibile attentato senza opportune difese o forme di sostegno politico e pubblico da parte di nessuno. Dalla Chiesa non avrebbe fatto sconti a nessuno. Il generale stava sempre sul pezzo personalmente e non delegava e questo il suo biglietto da visita vincente dava fastidio a qualcuno. I patti e le trattative che dovette affrontare da solo lo condussero inesorabilmente al suo destino.

Laura Garavini: La lezione di La Torre e Dalla Chiesa è ancora di estrema attualità. La nostra legislazione legata ai loro nomi è ancora un diamante invidiata in tutta Europa. Ma non possiamo limitarci agli allori. Le mafie si sono globalizzate e sono un problema anche nel nord Italia e all'estero dove possono fare profitti maggiori. È necessario che anche le legislazioni si globalizzino. L'Italia non ha ancora recepito leggi europee in tema di confisca dei beni mafiosi. Per assurdo se siamo all'avanguardia in alcuni aspetti siamo anche freno per altre procedure antimafia. Serve un'armonizzazione globale delle norme antimafia.

Virginio Rognoni. Dalla Chiesa è stato un grande servitore dello Stato sia nella lotta al terrorismo sia nella lotta alla Mafia. Diventammo amici e fui io, come ministro dell'Interno a proporlo al governo per metterlo a capo di una struttura agilissima di poche decine di uomini per la lotta alla Mafia. La tenuta democratica era un problema ma grazie a Dalla Chiesa il risultato fu positivo: ero convinto che fosse l'uomo giusto al posto giusto. La sua adesione fu completa. Non si trattata di mandare a Palermo un commissario ma creare e difendere la straordinarietà di una struttura ad hoc che non era mai stata messa in opera prima che si identificava nella figura di Dalla Chiesa prefetto.

Nando Dalla Chiesa: Quello di mio padre fu davvero un funerale molto veloce. Un generale che venuto dal nord pesava molto, troppo su Palermo fin dai primi giorni dove fu vissuto molto male. Subito mio padre lamentò a Spadolini di essere davanti un ambiente inquinato e chiese sostegno pubblico e politico. Gli disse di essere minacciato e da chi. Ma alla lettera non arrivarono quelle risposte e quelle rassicurazioni che chiedeva. Dalla Chiesa trovo molta ostilità, dalle accuse contro una moglie troppo giovane alle lettere di offesa di “sciacquarsi le palle in mare”. Una tensione continua, dove la classe politica si rifiutava di andare a salutare il nuovo prefetto motivando motivi di forma perché doveva essere il prefetto a rendere omaggio alla classe politica e non viceversa. “Una tessera di partito conta più dello Stato e finché resterà così la Mafia non la batteremo mai” è quanto mi disse nei giorni in cui fummo insieme a Palermo. Una volta morto, il suo cadavere era ancora troppo ingombrante. C'era un grande senso di colpa il giorno del suo funerale. Un funerale troppo veloce per la cronaca di una morte annunciata. Una donna mi gridò “non siamo stati noi palermitani ad ucciderlo”. Io non lo so chi lo abbia ucciso. Un po' di verità è uscita fuori. Anzi ne sappiamo abbastanza.

Nessun commento:

Posta un commento