La responsabile Formazione del PD, Annamaria Parente ha introdotto i lavori della quinta edizione della Scuola Politica del PD, a Cortona, dal titolo: Democrazia e comunicazione. "Il ruolo della democrazia rappresentativa va rigenerata per essere reale condizione per il cambiamento e la ricostruzione"

Ed è perciò che mi sento di sottolineare come questo appuntamento rappresenti un segmento costitutivo della nostra visione sulle questioni nodali, un colore di un quadro che stiamo dipingendo sulla tela della democrazia. Siamo, infatti, parte integrante di un percorso, strutturato e permanente, di formazione e apprendimento caratterizzato da un metodo sì scientifico, ma soprattutto politico.
Il tema della Democrazia e Comunicazione ci pare estremamente attuale per continuare a comporre questo quadro che deve contenere le questioni prioritarie che un partito progressista, come il nostro, deve affrontare rispetto alle evoluzioni e al dinamismo del mondo contemporaneo. Qui a Cortona abbiamo sempre declinato i temi scelti (la dimensione globale e locale, il lavoro, la cultura e la crescita) con il valore della democrazia, che per noi rappresenta il substrato necessario da cui prende forma il nostro pensiero politico.
Anche in questa quinta edizione il valore della democrazia è il nostro filo rosso. La democrazia che abbiamo in mente ha una dimensione inclusiva, solidale, paritaria, equa, che contempla le diversità tra i popoli, tra le culture, e tra i livelli di accesso all’istruzione, ai nuovi mezzi di comunicazione, e ai beni e ai servizi primari. La politica e la democrazia sono facce della stessa medaglia, ma questa medaglia immaginaria è in realtà composta da tre facce, e la terza faccia è la comunicazione.
In questi giorni ripercorreremo in un’ottica storica, sociologica e mediatica, l’evoluzione del rapporto tra politica, partiti e comunicazione, fino ad arrivare alla attuale mediatizzazione della politica. E’ vero che l'evoluzione della comunicazione ha inciso sulla formazione stessa dei leader politici. L’illusione è stata quella di pensare questo approccio come una sorta di utilizzo orizzontale e democratico della comunicazione, capace di “sfornare” leader direttamente, senza dietro un percorso politico di formazione e di condivisione dei valori costitutivi del partito di appartenenza. E’ sembrato che non ci fosse più bisogno della mediazione politica dei partiti. Basti pensare a come Berlusconi, attraverso la televisione, abbia creato il fenomeno della leadership diretta, di un nuovo principe televisivo, molto potente e persuasivo (Fabbrini).
Oggi più di ieri la politica è (anche) comunicazione, è capacità di sapersi raccontare (political narrative) attraverso l’elaborazione di una story nella quale il cittadino si può riconoscere, una story dove “ogni parola e ogni immagine diventano il brano di una trama” (Moltedo).
La rappresentanza politica vive una stagione di crisi e di antipolitica, e questo stato di cose rischia di minare proprio il valore della democrazia e “il suo stato di salute”(Downs). Ciò avviene quando si cede alla tentazione di rinunciare al valore della rappresentanza politica sostituendola con la partecipazione diretta che non sempre garantisce di per sé il presidio della vera democrazia. Chi è chiamato a governare i processi e i percorsi di democrazia diretta, è proprio la rappresentanza politica. Bobbio diceva: “I partiti servono a far si che sia possibile attivare i cittadini e tradurre in linguaggio politico le loro opinioni”. Rispetto al rischio della disaffezione politica e dello “spettro” dell’antipolitica, anche nella Dottrina sociale della Chiesa viene data attenzione al tema della democrazia e partecipazione politica e si legge come meritino “una preoccupata considerazione, (…) tutti gli atteggiamenti che inducono il cittadino a forme partecipative insufficienti o scorrette e alla diffusa disaffezione per tutto quanto concerne la sfera della vita sociale e politica…”.
Per rinnovare il valore della democrazia è necessario che i partiti siano facilitatori della partecipazione entrando nei nuovi spazi pubblici di confronto e di scambio di opinioni individuali e collettive per arrivare ad una “architettura delle priorità tematiche” sulle quali avviare la discussione politica in ogni luogo. Bisogna far sì che il “senso comune” non sia ostacolo nel riconoscere ed accettare la realtà, che non impedisca cioè la maturazione di una visione politica della cose (Ilvo Diamanti “Gramsci, Manzoni e mia suocera”). Noi crediamo quindi che i partiti e le associazioni politiche che vertono intorno a valori comuni, possano ancora essere organizzatori di opinione pubblica, guide riformatrici delle società, perché sono ancora, per citare Alfredo Reichlin, “storicamente necessari”.
Bisogna rafforzare la potenzialità della partecipazione attraverso la trasparenza delle decisioni prese dalla rappresentanza politica e dalle istituzioni. In questo senso diventa centrale la comunicazione pubblica sia dei Parlamenti, sia delle istituzioni locali. La comunicazione pubblica e istituzionale è chiamata a confrontarsi quotidianamente con il cittadino per attivare percorsi inclusivi che possono realizzarsi anche attraverso esperienze di democrazia deliberativa (un esperimento di democrazia deliberativa è stato realizzato anche da noi nella Scuola di Politica “Democrazia e Lavoro”).
Lo “spazio dell’azione collettiva” (così definita da Hannah Arendt), luogo in cui si costruisce l’opinione pubblica è cambiato. Il progresso tecnologico ha fatto nascere nuove sfere pubbliche, nuove piazze: i blog, i social network: Twitter, Facebook ecc. In una manciata di anni siamo passati dalla comunicazione politica nelle piazze, alla comunicazione sui social network passando per la televisione spesso utilizzata strumentalmente e arbitrariamente come una prateria da sfruttare ai fini populistici. La televisione rappresenta i 2 terzi del canale informativo politico dei paesi europei anche se c’è una diffusa tendenza, soprattutto tra i giovani, a ritenere che l'informazione politica veicolata dalla tv sia falsa o comunque manipolata mentre quelle della rete viene percepita come più veritiera (Fiengo e Sorice).
Anche se la televisione appare oggi uno strumento per molti aspetti desueto non ha perso la sua centralità in materia di comunicazione politica e di formazione di opinione pubblica. Internet e la televisione sono destinati così a convivere.
Un ragionamento va fatto anche rispetto al giornalismo su internet e al destino della stampa nel mondo della informazione digitalizzata. Spesso il momento della produzione della notizia (ad esempio un post) coincide con quello della sua fruizione, senza alcuna mediazione qualitativa o quantitativa. Rischiamo di essere ricettori passivi, inondati quotidianamente da informazioni, da notizie di cui non sempre verifichiamo le fonti e l’esattezza. Un esempio ne è stato quando alla fine di agosto all’iniziativa di Frattocchie 2.0 abbiamo avviato con i nostri giovani un’esercitazione su una ipotetica campagna politica. Abbiamo “candidato” uno dei nostri ragazzi di Officina Politica lanciandolo attraverso i social network sulla rete. Per due ore il nostro “candidato” (Peppe Maiello) è stato oggetto reale dell’interesse della stampa. Allora partecipare in internet al dibattito politico e apprendere e formarsi su internet è sicuramente allettante, ma non è scevro da possibili incognite. “Il ritmo del ciclo informativo è cambiato cosi velocemente, che manca il tempo che servirebbe per riflettere”(Fiengo).
Nell’era della “autocomunicazione di massa” (così definita da Manuel Castells) i tradizionali mezzi di comunicazione verticali interagiscono con i nuovi media orizzontali nella formazione e nella comunicazione del messaggio politico, nella costruzione delle opinioni politiche e nelle organizzazione delle campagne elettorali. Tutte queste “nuove piazze” sono il terreno dove si forma l’opinione pubblica che, come dice Sartori, è “fatta da tutti e da nessuno” ed è frutto di un crogiolo di influenze e controinfluenze. Ma quando l’opinione pubblica è realmente autentica? Quando la creazione dell’opinione pubblica parte realmente da un percorso di inclusione collettiva? La Rete può essere uno strumento, un luogo preziosissimo per la politica, quando crea comunità di dialogo, favorendo un ampio coinvolgimento di soggetti, di idee, di istanze, e innescando un processo virtuoso di re-intermediazione. Altre volte rischia di strumentalizzare la volontà popolare, di essere il luogo dove si consumano nuove emarginazioni e si affacciano nuove oligarchie e non un nuovo medium di democrazia della dialettica e di vera partecipazione. Da qui il tema delle nuove forme di esclusione sociale nella Rete e del rischio, tutt’altro che remoto, che le tecnologie digitali allontanino dalla partecipazione politica le categorie sociali più deboli, gli outsider (Digitale Divide).
Indiscutibilmente, per i movimenti nati negli ultimi anni, la Rete è stata un luogo di aggregazione e di controinformazione molto potente, la più grande piazza politica dell’epoca postmoderna, una nuova agorà dove il popolo si è ritrovato. In tutto il mondo la rete è diventata straordinario strumento di autorganizzazione dal basso dei movimenti che si propongono di essere politici : gli Indignados, Occupy Wall Street, le Primavere arabe. Non sappiamo se esiste una relazione diretta tra la mobilitazione in rete e l’affermazione della democrazia in paesi autoritari. Molte analisi politologiche ci dicono che senza le tecnologie digitali le nuove forme di mobilitazione politica nel mondo non sarebbero state concepibili. Rispetto alle conseguenze di internet sulla democrazia, il dibattito è aperto e a tratti controverso, soprattutto perché non è possibile generalizzare i risultati della mobilitazione politica in rete nei diversi angoli del mondo, come dimostrano gli eventi più recenti di molti paesi arabi.
Un partito contemporaneo e riformista come il nostro, attraverso la formazione di una nuova classe dirigente, ha il dovere di promuovere sulla Rete cultura democratica, partecipativa e collaborativa, e di scoraggiare l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti.
È da tempo che, nei percorsi di formazione del Partito Democratico, riflettiamo con i nostri giovani sull'importanza della Rete in politica e sul suo uso. Con "Finalmente Sud", destinato a 2000 giovani del Mezzogiorno, stiamo sperimentando attraverso una piattaforma telematica la realizzazione di un'intelligenza collettiva figlia del nostro tempo (Henry Farrel e democrazia "cognitiva").
La nostra esperienza formativa ci sta insegnando molto sulle possibilità di organizzazione di un partito del terzo millennio che crea "reti pensanti”, che alterna momenti di aggregazione sul territorio a quelli digitali, che realizza processi di condivisione, che diffonde e rielabora, attraverso una pratica costruttiva in rete, ideali, valori, progetti attraverso un coinvolgimento ampio.
Ma tornando al primo tema che apre di fatto questa quinta edizione di Cortona 2012, l’interrogativo da cui partiamo è: la democrazia digitale può realmente “curare” le democrazie rappresentative? E’ questa la questione su cui Herry Farrell e Markus Linden oggi si confronteranno.
Per concludere, se le nuove forme di comunicazione facilitando e accelerando l’esercizio della democrazia partecipativa diretta, rischiano forse di rimuovere, almeno apparentemente la necessità di forme di intermediazione politica e partitica, noi con forza sosteniamo il ruolo della democrazia rappresentativa, che va però rigenerata per essere reale condizione per il cambiamento e la costruzione. Dobbiamo dunque oggi promuovere una fase di rinnovamento della democrazia, una fase (come dice Nadia Urbinati) che è riparatoria e rigenerativa. Noi con Cortona e con la formazione politica del PD, insieme con tutto il Partito, abbiamo scelto questa strada: ridisegnare il profilo nobile della politica in senso collettivo.
Lo so, appariamo in controtendenza in un’epoca di scandali e di sfiducia, ma questa è la nostra vera battaglia politica e culturale, per ridare un futuro soprattutto ai giovani. Questa è Cortona 2012. Buon lavoro a tutte e a tutti!
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