Intervento di Lapo Pistelli alla Camera dei Deputati sulla ratifica del fiscal compact - VIDEO
Solo rimanendo nel tempo della seconda repubblica, negli ultimi 20 anni, questo passaggio è successo molte volte. Abbiamo modificato i trattati cinque o sei volte, siamo passati da 12 a 27 membri, abbiamo creato la libera circolazione delle persone, la moneta unica.
Fino a poco tempo fa, votavamo con distrazione. L’Europa sembrava un fatto tecnico. Oggi che ci svegliamo chiedendo dello spread e del prossimo appuntamento europeo, niente è più solo tecnico, tutto è molto politico.
Alla domanda sull’Europa tradizionalmente l’Italia ha sempre risposto sì, con un entusiasmo superiore alla media.
L’Europa ci piaceva se allargava le sue competenze, se modificava le sue regole chiedendoci un pezzo di sovranità da condividere, se faceva entrare nuovi soci.
Qualcuno qui era così generoso che ci voleva dentro pure la Russia e Israele.
Alla domanda su quale Italia avevamo in mente, ci siamo limitati, con buon senso, a rispondere che interesse nazionale e interesse europeo coincidevano e che, anzi, l’Europa era semmai un buon vincolo esterno per scrollarsi qualche pigrizia e fare qualche riforma.
Abbiamo sottovalutato le conseguenze delle nostre scelte. Come se per giocare nella Champion’s League, bastasse fare un allenamento ogni tanto quando si ha tempo.
Poi è arrivata la crisi del 2008 e il clima è cambiato, in Europa e in Italia e anche l’esame degli atti europei è divenuto più attento.
Se ne è accorto l’ottimo Ministro Moavero, che ha seguito con attenzione il dibattito in questi giorni e che ha colto un umore cambiato, una grande preoccupazione anche in coloro che non sono tacciabili di euroscetticismo.
Il Partito Democratico, in Europa e in Italia, ha espresso più volte un giudizio di merito sui trattati oggi alla ratifica. Sono il massimo che l’attuale leadership continentale ha saputo produrre, esprimono un’idea che risente molto dei rapporti di forza fra i Paesi dell’area euro, sono però un passaggio stretto ma inesorabile che non permette vie di fuga o tentennamenti.
Alla domanda su quale idea di Europa questi trattati rappresentino, rispondiamo che è un’Europa necessaria che però non ci basta, si è mossa tardi, in modo non generoso, ha pagato un conto salato per il suo ritardo. E quando decide, come pure ha ben fatto il 28, sembra farlo sempre controvoglia.
Il 28 l’Italia si è comportata bene. E se ha ottenuto qualcosa è perché il governo ha potuto chiedere una correzione della rotta con la mano sinistra senza dover chiedere un aiuto e un intervento con la mano destra. Il risanamento avviato ha dato forza alla posizione negoziale.
Il 28, l’Europa ha deciso cose importanti. Speriamo che ci aiutino a passare l’estate e ad attendere l’implementazione della road map affidata ai quattro presidenti.
Non discutiamo ciò che c’è. Intendiamo lavorare per ciò che manca: un’idea più convinta e concreta di sviluppo e di crescita, il recupero di un messaggio di coesione e solidarietà, perfino un’immagine di sé nel mondo più assertiva. L’Europa era considerata nel mondo un pezzo della soluzione e oggi è un pezzo del problema, l’ostacolo maggiore alla rielezione di Barack Obamaalla Casa Bianca, una delle cause del rallentamento perfino dell’economia cinese.
Siamo convinti che un cambio di fase politica in Europa possa essere utile.
Siamo convinti che l’Italia, già oggi possa lavorare con il governo Monti per la vera prospettiva che si apre, quella di essere il broker interessato per favorireun compromesso fra una diversa idea di politica economica che matura a Parigi e il maggior vincolo politico che chiede Berlino.
Il nostro Paese ha interesse a dire sì sull’uno e sull’altro fronte. Per la realizzazione di una politica economica più attenta all’integrazione e alla crescita e per un’unione politica più stringente.
Macchine funzionanti che abbiano solo il pedale del freno, senza l’acceleratore e il volante non se ne sono mai viste.
Per accelerare occorre che la stabilità finanziaria sia legata alla stabilità monetaria. Ma questa non può esistere, nonostante la BCE, se tutte le grandezze macroeconomiche reali europee sono divergenti e non convergenti.
E poi c’è il volante. Guardate Stati Uniti e Giappone. Hanno fondamentali sul debito e sul deficit peggiori dell’Eurozona ma sono attori nazionali solidi. Non amplificano le loro divergenze. E ai mercati basta.
Per questo, occorre il passaggio a una strategia comune di crescita e all’unione politica, agli Stati Uniti d’Europa.
E gli Stati Uniti d’America, ricordiamolo, nacquero quando fu mutualizzato il debito degli Stati del Sud e creato il Tesoro.
Riteniamo che per arrivare a questo risultato, occorra anche organizzare in modo radicalmente diverso il discorso pubblico sull’Europa politica.
Oggi parlano, anzi strillano, solamente gli euroscettici e i populisti.
I sostenitori dell’Europa, bruciati dalle esperienze dei referendum mal gestiti degli anni scorsi, tacciono o bisbigliano.
Così sembra che non ci resti altro che una specie di “alternativa del diavolo”: la scelta fra avanzare segretamente o retrocedere pubblicamente.
Il Partito Democratico pensa che a partire dall’anno prossimo e fino alle elezioni europee, si debba organizzare la discussione pubblica sull’unione politica dell’Europa e sulla sua legittimazione democratica.
Sullo sfondo sappiamo che altrimenti si staglia una questione grande, che ci vede spesso arresi: quella del rapporto fra politica e finanza.
In gioco è la capacità, non solo in Europa, di rimettere il genio scappato dalla lampada. Ci sta provando anche il presidente americano.
Da 25 anni, il capitale preferisce remunerare il capitale e non il lavoro e la crescita. E’ più semplice e meno rischioso.
La negoziazione “over the counter” dei derivati muove una montagna virtuale di denaro finto che è 10 volte il Pil di un paese. Ha senso? Ha senso che la speculazione sui credit default swaps scommetta per guadagnare sul fallimento di un Paese? Che invece di acquistare le azioni di un’azienda con un buon piano d’impresa per guadagnare dal suo successo, si lavori per far tracollare uno stato sovrano per potere guadagnare un profitto privato? E qui c’è la domanda suquale Italia vogliamo in Europa. Vorrei essere estremamente chiaro.
Desideriamo ringraziare il governo per il lavoro estremamente difficile che ha svolto nelle condizione date, anzi nelle condizioni ricevute.
Il Presidente del Consiglio e il Ministro Moavero hanno costantemente seguito questi atti assieme al Parlamento, lo hanno informato periodicamente, hanno condiviso un obiettivo, una missione da rappresentare e Bruxelles, ne hanno discusso dopo gli esiti.
Sempre col Parlamento. E’ stato un metodo di grande correttezza politica e istituzionale, qualcosa di più del galateo parlamentare E crediamo che abbia anche dato forza al Governo nelle sue trattative.
Prima non era così. Gli impegni assunti con Bruxelles sono stati per troppo tempo un affare privato di chi ci andava.
Quanto a noi. Questo Paese non cresce e affronta una brutta recessione.
Ma il risanamento non è in sé una medicina ingiusta.
E’ il compito che dovevamo svolgere da molto tempo, da prima che la crisi esplodesse.
L’euro ci ha regalato un dividendo politico: dieci anni d’inflazione bassissima, di costo del denaro accessibile con poco. Erano anni per fare le riforme, come ha fatto la Germania. Sono anni che abbiamo perduto.
Anni e riforme che dovremo comunque recuperare.
Due giorni fa, Moody ha espresso il consueto giudizio negativo sul nostro Paese. Altri si sono incaricati di rispondere.
Vorrei dire con chiarezza due ultime cose.
Come sapete, il giudizio di Moody si fondava sull’affidabilità politica dell’Italia dopo il 2013, sulla tenuta dei nostri impegni.
Sul piano del metodo, la predica è irricevibile. I giudizi politici li danno gli elettori non le agenzie di rating. L’analisi di Moody rivela l’invasione di campo cui accennavo prima.
Sul piano del merito, Moody pone una domanda giusta. Se fossi un investitore o anche uno speculatore vorrei sapere anch’io cosa succederà l’anno prossimo.
Vorrei sapere se in Italia il calendario liturgico va al contrario, se dopo la Quaresima ricomincia il carnevale.
Il Pd sostiene il governo e, se gli elettori lo vorranno, l’anno prossimo sarà al governo. Noi manterremo gli impegni, anche quelli che non ci piacciono.
Siamo gente seria e abbiamo un profondo rispetto per i sacrifici che gli italiani stanno affrontando.
Ma lavoreremo anche per un’Europa che non sia solo uno spazio terrorizzante di disciplina e parametri, di salvataggi straordinari e di vertici notturni. Qualcosa che faccia anche sperare.
Vogliamo rimettere il calendario a posto: prima il carnevale, poi la quaresima, poi la pasqua di resurrezione.
Abbiamo letto invece preoccupanti dichiarazioni sulla fuoriuscita dell’euro da parte di “comeback kid”, dell’on Berlusconi.
Abbiamo anche letto analoghe dichiarazioni da parte di Beppe Grillo. E non era uno spettacolo comico. Ecco perché Moody poneva la domanda.
A quelli che hanno criticato l’operato del governo in questa difficile congiuntura, vorrei dare un sommesso consiglio.
Il governo Monti è come la protezione civile, quella buona, che sta spalando le macerie di un edificio che altri hanno fatto crollare.
Che i dinamitardi alzino la voce è semplicemente grottesco. Il senso del pudore imporrebbe un po’ di silenzio o quell’antica frase che nessuno dice più: scusate, ci eravamo sbagliati.
Noi democratici invece la nostra parte la faremo fino in fondo. Perché siamo dalla parte di questo Paese.
Per queste ragioni il gruppo esprimerà, signor Presidente, un voto favorevole.
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