SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CIRCOLO DI VIETRI SUL MARE

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martedì 31 luglio 2012

L'Unità: Bersani presenta la «Carta d'intenti» Ecco la via dei progressisti al governo

Al  Tempio di Adriano in Piazza di Pietra a Roma, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani presenta la "Carta d'intenti per il patto dei democratici e dei progressisti". 

STOP AL LIBERISMO FINANZIARIO
«Partirò da un punto chiave concretissimo: la connessione tra la questione democratica e la questione economica sociale. Noi contestiamo il liberismo finanziario che ci ha portato a questa crisi. denunciamo come abbia disarmato sovranità e democrazia nei paesi», afferma Bersani. «Non c'entra il mercato, siamo a una micidiale distorsione del mercato, al dominio di soggetti incontrollati, un dominio che ha innescato la più grave crisi dal dopoguerra a oggi», conclude il segretario del Pd.

GAY, DAREMO RICONOSCIMENTO GIURIDICO ALLE COPPIE «Daremo sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte Costituzionale per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico». È l'impegno del segretario del Pd. 

NOSTRA PRIMA LEGGE PER IMMIGRATI
«L'ho già detto, la prima norma che faremo quando progressisti e moderati saranno al governo è per i figli degli immigrati che vanno a scuola», ribadisce Bersani, presentando la 'Carta d'intenti per il patto dei democratici e dei progressisti'. E spiega che «questo ci dice più di qualsiansi misure economica in che mondo l'Italia intende stare, in quello di domani o no». 

LEGGE ELETTORALE, PAROLE SACROSANTE DEL COLLE
Ieri parole sacrosante del presidente della Repubblica» sulla legge elettorale. Lo dice il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani presentando i punti del programma per il patto tra progressisti e moderati.

Napolitano e Bersani pronti all’autunno


A parte l’obiettivo infamante – raggiunto con la più estrema delle conseguenze ai danni di Loris D’Ambrosio – l’operazione di azzoppamento del presidente della repubblica non è andata in porto. La nota di ieri ricorda a tutti che il Quirinale rimane il presidio finale delle decisioni istituzionali.

Giorni di chiacchiere giornalistiche si sono consumati dietro l’ipotesi di elezioni anticipate. Inseriti nel circuito della chiacchiera, alcuni politici hanno pensato di sfruttarla usando le mitiche urne autunnali come minaccia. Un’arma spuntata. Napolitano rammenta che solo a lui spetta la decisione sullo scioglimento anticipato della legislatura. Il messaggio sottinteso è che non ci pensa per niente.
Il messaggio esplicito è invece che fallendo nell’opera di riforma della legge elettorale i partiti non se la caveranno scaricandosi le responsabilità. Naturalmente è esattamente ciò che faranno, anzi stanno già facendo. Dalla polemica potranno ricavare qualche utile marginale ma il capo dello stato non vuole farsi coinvolgere nel gioco: anticipa un giudizio molto negativo che sarà condiviso dalla grande maggioranza degli italiani. Dopo di che, i partiti voteranno col Porcellum. Non esiste sistema elettorale che sia in grado di distorcere l’opinione degli elettori: chi meriterà di perdere perderà comunque, le soluzioni di governo si troveranno senza ulteriori ammucchiate.

Oggi Bersani presenta un documento di nove pagine che varrà da piattaforma di confronto coi potenziali alleati (oltre che per le primarie). È formulato in modo tale da non rendere difficile alcuna interlocuzione tranne quelle già scartate con Di Pietro e Grillo.
Approfondiremo il testo, che non contiene novità rispetto al pensiero bersaniano noto. I concetti più volte richiamati sono quelli di “bene comune” (per recuperare il feeling referendario di un anno fa) e di lotta al populismo. La scuola è al centro della proposta: qui come dovunque l’accento è sull’uguaglianza, spariscono merito e competizione. Se ne discuterà.
Il segretario del Pd però deve sapere che d’ora in poi ogni messaggio non sarà più ascoltato solo dagli attori politici ma anche dall’insieme degli elettori che cominciano a sciogliere i dubbi in vista del voto. I sondaggi recenti non sono entusiasmanti (il Pdl sarebbe in recupero rispetto ai propri delusi): il passo dell’alpino non basta più. 

La Carta d'intenti per il patto tra democratici e progressisti




L’Italia ce la farà se ce la faranno gli italiani. Se il paese che lavora, o che un lavoro lo cerca, che studia, che misura le spese, che dedica del tempo al bene comune, che osserva le regole e ha rispetto di sé, troverà un motivo di fiducia e di speranza.

L’Italia perderà se abbandonerà l’Europa e si rifugerà nel suo spirito corporativo, se prevarrà l’interesse del più ricco o del più arrogante. Se speranza e riscatto non saranno il capitale di un popolo ma scialuppe solo per i furbi e i meno innocenti.

Questa Carta d’Intenti vuole descrivere l’Italia che ce la può fare, che ce la può fare ricostruendo basi etiche e di efficienza economica; che ce la può fare con uno sforzo comune in cui chi ha di più dà di più.

Sappiamo che la politica ha le sue colpe. E che quanto più profonda si manifesta la crisi, tanto più le classi dirigenti devono testimoniare il meglio: nella competenza, nella condotta, nella coerenza. Questo sarà il nostro impegno e la bussola per il nostro compito. Con la stessa sincerità, diciamo che non siamo tutti uguali. Non sono uguali i partiti, le persone, le responsabilità. Gli italiani sono finiti dove mai sarebbero dovuti stare perché a lungo sono stati governati male. Noi vogliamo chiudere quella pagina e aprirne un’altra.

L’Italia, come altre grandi nazioni, è immersa nella fine drammatica di un ciclo della storia che ha occupato l’ultimo trentennio. La gravità del quadro elimina molte certezze. Ma sono proprio le grandi rotture a dettare le regole del futuro. Nel senso che da una crisi radicale – dell’economia e della democrazia – non si esce mai come si è entrati. Le crisi cambiano il paesaggio, le persone, il modo di pensare. La sfida è spingere quel mutamento verso un progresso e un civismo più solidi, retti, condivisi. Davanti a noi, adesso, c’è una scelta di questo tipo: se batterci per migliorare tutti assieme o rinunciare a battersi. Se credere nelle risorse del Paese o affidarsi – e sarebbe una sciagura – alle risorse di uno solo. Se unire le energie disponibili e ripensare assieme l’Europa, o attendere che altri scelgano e dicano per noi.

Questo è il momento di decidere cosa vogliamo diventare. Quale ruolo dare a una nazione con la nostra tradizione, situata nel cuore di un Mediterraneo che le rivolte giovanili stanno modificando come mai era accaduto. Quale democrazia rifondare, dopo una crisi che ha corretto i confini della sovranità dei singoli stati. Insomma questo è il momento di ricostruire l’Italia che lasceremo a chi verrà dopo.

Il prossimo Parlamento e il governo che gli elettori sceglieranno avranno tre compiti decisivi. Dovranno guidare l’economia fuori dalla crisi rimettendola salda sulle gambe. Dovranno ridare autorità, efficienza e prestigio alle istituzioni e alla politica, ripartendo dai principi della Costituzione. Dovranno rilanciare – in un gioco di squadra con le altre nazioni e i loro governi – l’unità e l’integrazione politica dell’Europa.

Vogliamo dunque proporre la traccia di una discussione aperta sull’Italia attorno ad alcune idee fondamentali. Cerchiamo un patto con le forze politiche democratiche, progressiste e di una sinistra di governo, con movimenti e associazioni, con amministratori, con ogni persona e personalità che voglia contribuire a un progetto per uscire da una crisi senza eguali nella nostra memoria. Una crisi che affrontiamo con la zavorra di un debito pubblico da ridurre drasticamente e che richiederà scelte responsabili, di rigore e allo stesso tempo di enorme coraggio. Bisogna vedere i problemi e insieme cogliere le occasioni. L’Italia è in grado di farlo ma deve avere più fiducia nei suoi mezzi e meno paura del viaggio che dobbiamo fare. Non è più tempo di “contratti”, promesse, sogni appesi a un filo. Adesso è tempo di ripartire. Perché il peggio può essere alle nostre spalle. Se lo vogliamo.


Visione
Noi non crediamo all’ottimismo delle favole, quello venduto nel decennio disastroso della destra. Crediamo, invece, in un risveglio della fiducia e soprattutto nel futuro degli italiani, a cominciare dai più giovani e dalle donne. I problemi sono enormi e il tempo per aggredirli si accorcia. Le scelte da compiere non sono semplici né scontate. Ma la speranza che ci muove vive tutta nella convinzione che si possano combinare rigore e cambiamento. Che si possa agganciare la crescita in un quadro di equità.

Il nostro posto è in Europa. Lì dove Mario Monti ha avuto l’autorevolezza di riportarci dopo una decadenza che l’Italia non meritava. Noi collocheremo sempre più saldamente l’Italia nel cuore di un’Europa da ripensare e, in qualche misura, da rifondare. Lo faremo assieme a quelle forze progressiste che cercano in un tempo difficile di non tradire il sogno di un’Europa unita nell’impronta della sua civiltà.

In “casa” dovremo colmare la faglia che si è scavata tra cittadini e politica. Qui non bastano le parole. Serviranno i comportamenti, le azioni, le coerenze. Cercheremo di andare nella direzione giusta: di fare in modo che la buona politica e una riscossa civica procedano affiancate. Il traguardo è ricostruire quel patrimonio collettivo che la destra e i populismi stanno disgregando: la qualità della democrazia, la dignità di ciascuno, legalità, cittadinanza, partecipazione. La realtà è che mai come oggi nessuno si salva da solo. E nessuno può stare bene davvero, se gli altri continuano a stare male: è questo il principio a base del nostro progetto, sia nella sfera morale e civile che in quella economica e sociale.

Vogliamo che il destino dell’Italia sia figlio della migliore civiltà dell’Europa e che insieme riscopriamo la necessità di sentirci vicino a chi nel mondo si batte per la libertà e l’emancipazione di ogni essere umano. Lo scriviamo nella coscienza che la grandezza e la tragedia del ‘900 in Europa si misurano in una sola parola: la pace. La conquista faticosa di un continente che, con la tragica eccezione dei Balcani, ha conosciuto nella seconda metà del secolo la sua riconciliazione. Oggi, in un mondo in subbuglio, pace, cooperazione, accoglienza, devono ispirare di nuovo il discorso pubblico. Nella coscienza dei singoli come nella diplomazia degli Stati.

Con questa visione noi, democratici e progressisti, ci candidiamo alla guida del Paese.


Democrazia
Dobbiamo sconfiggere l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo al comando. E’ una strada che l’Italia ha già percorso, e sempre con esiti disastrosi. In democrazia ci sono due modi di concepire il potere. Usare il consenso per governare bene. Oppure usare il governo per aumentare il consenso. La prima è la via del riformismo. La seconda è la scorciatoia di tutti i populismi e si traduce in una paralisi della decisione.

Per noi il populismo è il principale avversario di una politica autenticamente popolare. In questi ultimi anni esso è stato alimentato da un liberismo finanziario che ha lasciato i ceti meno abbienti in balia di un mercato senza regole. La destra populista ha promesso una illusoria protezione dagli effetti del liberismo finanziario innalzando barriere culturali, territoriali e a volte xenofobe. Anche quando questo populismo ha pescato il suo consenso all’interno di un disagio diffuso e reale, il suo esito è sempre stato antipopolare.

La sola vera risposta al populismo è in una partecipazione rinnovata come base della decisione. E questo perché la crisi della democrazia non si combatte con “meno” ma con “più” democrazia. Il che significa più rispetto delle regole, una netta separazione dei poteri e l’applicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo. In questo senso siamo convinti che il suo progetto di trasformazione civile, economica e sociale sia vitale e per buona parte ancora da mettere in atto.

Vogliamo dare segnali netti all’Italia onesta che cerca nelle istituzioni un alleato contro i violenti, i corruttori e chiunque si appropri di risorse comuni mettendo a repentaglio il futuro degli altri. Per noi ciò equivarrà alla difesa intransigente del principio di legalità, a una lotta decisa all’evasione fiscale, al contrasto severo dei reati contro l’ambiente, al rafforzamento della normativa contro la corruzione e a un sostegno più concreto agli organi inquirenti e agli amministratori impegnati contro mafie e criminalità, vero piombo nelle ali per l’intero Paese. Sono questi gli impegni inderogabili e le coerenze richieste alla politica se vogliamo che i cittadini abbiano di nuovo fiducia nella democrazia.

Sulla riforma dell’assetto istituzionale, siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e rafforzato, con un ruolo incisivo del governo e la tutela della funzione di equilibrio assegnata al Presidente della Repubblica. Riformuleremo un federalismo responsabile e bene ordinato che faccia delle autonomie un punto di forza dell’assetto democratico e unitario del Paese. Sono poi essenziali norme stringenti in materia di conflitto d’interessi, legislazione antitrust e libertà dell’informazione, secondo quei principi liberali che la destra italiana disconosce. Bisogna attuare a tutti i livelli la democrazia paritaria nell’idea che autonomia e responsabilità delle donne siano una leva essenziale della crescita. Ma soprattutto daremo vita a un meccanismo riformatore che dia finalmente concretezza e certezza di tempi alla funzione costituente della prossima legislatura.

Infine, ma non è l’ultima delle priorità, la politica deve recuperare autorevolezza, promuovere il rinnovamento, ridurre i suoi costi e la sua invadenza in ambiti che non le competono. Serve una politica sobria perché se gli italiani devono risparmiare, chi li governa deve farlo di più. A ogni livello istituzionale non sono accettabili emolumenti superiori alla media europea. Ma anche questo non basta. Va approvata una riforma dei partiti, che alla riduzione del finanziamento pubblico affianchi una legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, e bisogna agire per la semplificazione e l’alleggerimento del sistema istituzionale e amministrativo. Occorrono piani industriali per ogni singola amministrazione pubblica al fine di produrre efficienza e risparmio. Riconoscere il limite della politica e dei partiti significa anche aprire il campo alle richieste d’impegno e mobilitazione che maturano nella società ed alle competenze che si affermano. Tutto ciò dovrà essere messo al concreto a cominciare dalle nomine in enti, società pubbliche e autorità di sorveglianza e da criteri di selezione nelle funzioni di governo.


Europa
La crisi che scuote il mondo mette a rischio l’Europa e le sue conquiste di civiltà. Ma noi siamo l’Europa, nel senso che da lì viene la sola possibilità di affrancare l’Italia dai guasti del collasso liberista, e quindi le sorti dell’integrazione politica coincidono largamente col nostro destino. Insomma non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa.

Per riuscirci agiremo in due direzioni. In primo luogo, rafforzando la piattaforma dei progressisti europei. Se l’austerità e l’equilibrio dei conti pubblici, pur necessari, diventano un dogma e un obiettivo in sé – senza alcuna attenzione per occupazione, investimenti, ricerca e formazione – finiscono per negare se stessi. Adesso c’è bisogno di correggere rotta, accelerando l’integrazione politica, economica e fiscale, vera condizione di una difesa dell’Euro e di una riorganizzazione del nostro modello sociale.

La sfida – e questa è la seconda direzione da imboccare – è portare a compimento le promesse tradite della moneta unica e integrare la più grande area commerciale del pianeta – perché questo siamo, e tuttora – in un modello di civiltà che nessun’altra nazione o continente è in grado di elaborare.

Salvare l’Europa nel pieno della crisi significa condividere il governo dell’emergenza finanziaria secondo proposte concrete che abbiamo da tempo avanzato assieme ai progressisti europei. Tali proposte determinano una prospettiva di coordinamento delle politiche economiche e fiscali. E dunque nuove istituzioni comuni, dotate di una legittimazione popolare e diretta. A questo fine i progressisti devono promuovere un patto costituzionale con le principali famiglie politiche europee. Anche per l’Europa, infatti, la prossima sarà una legislatura costituente in cui il piano nazionale e quello continentale saranno intrecciati stabilmente. Una legislatura nella quale dovrà rivivere l’orizzonte ideale degli Stati Uniti d’Europa. Qui vive la ragione che ci spinge a cercare un accordo di legislatura con le forze del centro moderato. Collocare il progetto di governo italiano nel cuore della sfida europea significa essere alternativi alle regressioni nazionaliste, anti-europee e populiste, da sempre incompatibili con le radici di un’Europa democratica, aperta, inclusiva.


Lavoro
La nostra visione assume il lavoro come parametro di tutte le politiche. Cuore del nostro progetto è la dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa. Questa è anche la premessa per riconoscere la nuova natura del conflitto sociale. Fulcro di quel conflitto non è più solo l’antagonismo classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè delle persone che pensano, lavorano e fanno impresa. E questo perché anche lì, in quella dimensione più ampia, si stanno creando forme nuove di sfruttamento. Il tutto, ancora una volta, per garantire guadagni e lussi alla rendita finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste, oltre i confini tradizionali del patto tra produttori. La battaglia per la dignità e l’autonomia del lavoro, infatti, riguarda oggi il lavoratore precario come l’operaio sindacalizzato, il piccolo imprenditore o artigiano non meno dell’impiegato pubblico, il giovane professionista sottopagato al pari dell’insegnante o del ricercatore universitario.

Il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che rimasti orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro. Il terzo passo è spezzare la spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e dell’innovazione, punti storicamente vulnerabili del nostro sistema. Quarto passo è mettere in campo politiche fiscali a sostegno dell’occupazione femminile, ancora adesso uno dei differenziali più negativi per la nostra economia, in particolare al Sud. Farlo significa impegnarsi per sradicare i pregiudizi sulla presenza delle donne nel mondo del lavoro e delle professioni. A tale scopo è indispensabile alleggerire la distribuzione del carico di lavoro e di cura nella famiglia, sostenendo una riforma del welfare e varando un piano straordinario per la diffusione degli asili nido. Anche grazie a politiche di questo tipo sarà possibile sostenere concretamente le famiglie e favorire una ripresa della natalità. Insomma sul punto non servono altre parole: bisogna fare del tasso di occupazione femminile e giovanile il misuratore primo dell’efficacia di tutte le nostre strategie.

Infine, il lavoro è oggi per l’Italia lo snodo tra questione sociale e questione democratica. Fondare sul lavoro e su una più ampia democrazia nel lavoro, la ricostruzione del Paese non è solo una scelta economica, ma l’investimento decisivo sulla qualità della nostra democrazia. Questo se pensiamo – e noi ne siamo convinti – che il lavoro non sia solo produzione, ma rete di relazioni, equilibrio psicologico, progetto e speranza di vita; la possibilità offerta a ciascuno di noi di trasformare la realtà.


Uguaglianza
L’Italia è divenuta negli anni uno dei Paesi più diseguali del mondo occidentale. La crisi stessa trova origine – negli Stati Uniti come in Europa – da un aumento senza precedenti delle disuguaglianze. E dunque esiste, da tempo oramai, un problema enorme di redistribuzione che investe il rapporto tra rendita e lavoro, mettendo a rischio i fondamenti del welfare.

Sull’altro fronte, la ricchezza finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è di sfuggire a ogni vincolo fiscale e solidale. E però non si esce dalla crisi se chi ha di più non è chiamato a dare di più. In altre parole, è la crisi stessa a insegnarci che la giustizia sociale non è pensabile come derivata della crescita economica, ma ne fonda il presupposto. Ciò significa che la ripresa economica richiede politiche di contrasto alla povertà, anche in un Paese come il nostro dove il fenomeno sta assumendo caratteri nuovi e dimensioni angoscianti. I “nuovi poveri”, per altro, continuano ad assistere allo scandalo di rendite o emolumenti cresciuti a livelli indecenti, a ricchezze e proprietà smodate che si sottraggono a qualunque vincolo di solidarietà. A tutto questo bisogna finalmente mettere un argine.

Per noi parlare di uguaglianza significa guardare la società con gli occhi degli “ultimi”. Di coloro che per vivere faticano il doppio: perché sono partiti da più indietro o da più lontano o perché sono diversamente abili. Se poi guardiamo alle generazioni più giovani, il tema dell’uguaglianza si presenta prima di tutto come possibilità di scelta e parità delle condizioni di accesso alla formazione, al lavoro, a un’affermazione piena e libera della loro personalità. Superare le disuguaglianze di genere è l’altra grande sfida per ricostruire il Paese su basi moderne e giuste. Non a caso, ancora una volta, il simbolo più forte di una riscossa civica e morale è venuto dal movimento delle donne. Su questo piano la politica, il Parlamento e il governo devono assumere la democrazia paritaria come traguardo della democrazia tout court.

Nessun discorso sull’uguaglianza sta in piedi se non si rimette il Mezzogiorno al centro dell’agenda. Le disuguaglianze territoriali, infatti, sono sempre anche disuguaglianze nei diritti e nelle opportunità. L’Italia è cresciuta quando Sud e Nord hanno scelto di avanzare assieme. Viceversa quando la forbice si è allargata, l’Italia tutta si è distanziata dall’Europa. Sostenere, come la destra ha fatto per anni, che il Nord poteva farcela da solo è stato un modo ipocrita di blandire una parte del ceto produttivo. Tutt’altra cosa è combattere sprechi e inefficienze con una nuova strategia nazionale d’intervento. Il punto è farlo assieme al senso di responsabilità di tante amministrazioni e movimenti meridionali impegnati a correggere le storture di vecchi regionalismi e localismi clientelari e a promuovere legalità, civismo e lavoro.

Infine, al capitolo dell’uguaglianza è legata a filo doppio la questione di una giustizia civile e penale al servizio del cittadino. Su questo piano è superfluo ricordare che gli anni della destra al governo hanno sprangato ogni spiraglio a un intervento riformatore. Diciamo che si sono occupati pochissimo dello stato di diritto e molto del diritto di uno soltanto che si riteneva proprietario dello Stato. Ma così a pagare due volte sono stati i cittadini più deboli: quelli che hanno davvero bisogno di una giustizia civile e penale rapida, imparziale, efficiente. Nella prossima legislatura il tema dovrà essere affrontato dal punto di vista della dignità e dei diritti di tutti e non più dei potenti alla ricerca d’impunità.


Sapere
La dignità del lavoro e la lotta alle disuguaglianze s’incrociano nel primato delle politiche per l’istruzione e la ricerca. Non c’è futuro per l’Italia senza un contrasto alla caduta drammatica della domanda d’istruzione registrata negli ultimi anni. E’ qualcosa che trova espressione nell’abbandono scolastico, nella flessione delle iscrizioni alle nostre università, nella sfiducia dei ricercatori e nella demotivazione di un corpo insegnante sottopagato e sempre meno riconosciuto nella sua funzione sociale e culturale.

In questo caso più che dalle tante indicazioni programmatiche, conviene partire da un principio: nei prossimi anni, se vi è un settore per il quale è giusto che altri ambiti rinuncino a qualcosa, è quello della ricerca e della formazione. Dalla scuola dell’infanzia e dell’obbligo alla secondaria e all’università: la sfida è avviare il tempo di una società della formazione lunga e permanente che non abbandoni nessuno lungo la via della crescita, dell’aggiornamento, di possibili esigenze di mobilità. Solo così, del resto, si formano classi dirigenti all’altezza, e solo così il sapere riacquista la sua fondamentale carica di emancipazione e realizzazione di sé.

A fronte di questo impegno, garantiremo processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi. La scuola e l’università italiane, già fiaccate da un quindicennio di riforme inconcludenti e contraddittorie, hanno ricevuto nell’ultima stagione un colpo quasi letale. Ora si tratta di avviare un’opera di ricostruzione vera e propria. Nella prossima legislatura partiremo da un piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale, dal varo di misure operative per il diritto allo studio, da un investimento sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più alto contenuto d’innovazione. Tutto ciò nel quadro del valore universalistico della formazione, della promozione della ricerca scientifica e della ricerca di base in ambito umanistico.


Sviluppo sostenibile
Sviluppo sostenibile per noi vuol dire valorizzare la carta più importante che possiamo giocare nella globalizzazione, quella del saper fare italiano. Sarebbe sciocco pensare che nel mondo nuovo l’Italia possa inseguire nazioni molto più grandi e popolose di noi. Se una chance abbiamo, è quella di una Italia che sappia fare l’Italia. Da sempre la nostra forza è stata quella di trasformare con il gusto, la duttilità, la tecnica e la creatività, materie prime spesso acquistate all’estero. O di usare al meglio il nostro territorio, che non è solo arte e bellezza naturale, ma bacino di risorse, creatività, talento.

Il decennio appena trascorso è stato particolarmente pesante per il nostro sistema produttivo. L’ingresso nell’euro e la fine della svalutazione competitiva hanno prodotto, con la concorrenza della rendita finanziaria, una caduta degli investimenti in innovazione tecnologica e nella capitalizzazione delle imprese, con l’aumento dell’esportazione di capitali. Anche in questo caso è tempo di cambiare spartito e ridare centralità alla produzione. Una politica industriale “integralmente ecologica” è la prima e più rilevante di queste scelte. Si tratta di sviluppare prodotti e servizi innovativi in quei settori che, in un mercato globale sempre più attento alle sfide ambientali, rendano l’Italia un punto di riferimento essenziale.

Noi immaginiamo un progetto-Paese che individui grandi aree d’investimento, di ricerca, di innovazione verso le quali orientare il sistema delle imprese, nell’industria, nell’agricoltura e nei servizi. La qualità e le tipicità, mobilità sostenibile, risparmio ed efficienza energetica, le scienze della vita, le tecnologie legate all’arte, alla cultura e ai beni di valore storico, l’agenda digitale, le alte tecnologie della nostra tradizione. Bisogna inoltre dare più forza e prospettiva alle nostre piccole e medie imprese aiutandole a collegarsi fra loro, a capitalizzarsi, ad accedere alla ricerca ed alla internazionalizzazione. C’è molto da fare. Mettere al centro in Italia l’economia reale e le forze che la promuovono, è un grande tema politico e culturale. Una vera svolta, dopo gli anni di una destra che ha lasciato nell’oscurità le prospettive produttive del Paese.


Beni comuni
Per noi sanità, istruzione, sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di principio, non dev’esserci il povero né il ricco. Perché sono beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti. Sono beni comuni – di tutti e di ciascuno – e definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese.

Ancora, l’energia, l’acqua, il patrimonio culturale e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la rete dei servizi di welfare e formazione, sono beni che devono vivere in un quadro di programmazione, regolazione e controllo sulla qualità delle prestazioni.

Per tutto questo, introdurremo normative che definiscano i parametri della gestione pubblica o, in alternativa, i compiti delle autorità di controllo a tutela delle finalità pubbliche dei servizi. In ogni caso non può venir meno una responsabilità pubblica dei cicli e dei processi, che garantisca l’universalità di accesso e la sostenibilità nel lungo periodo.

La difesa dei beni comuni è la risposta che la politica deve a un bisogno di comunità che è tornato a manifestarsi anche tra noi. I referendum della primavera del 2011 ne sono stati un’espressione fondamentale. È tramontata l’idea che la privatizzazione e l’assenza di regole siano sempre e comunque la ricetta giusta. Non si tratta per questo di tornare al vecchio statalismo o a una diffidenza preventiva verso un mercato regolato. Il punto è affermare l’idea che questi beni riguardano il futuro dei nostri figli e chiedono pertanto una presa in carico da parte della comunità.

In questo disegno la maggiore razionalità e la valorizzazione del tessuto degli enti locali sono essenziali, non solo per la funzione regolativa che sono chiamati a svolgere, ma perché il presidio di democrazia, partecipazione e servizi che assicurano è in sé uno dei beni più preziosi per i cittadini. Superare le duplicazioni, riqualificare la spesa, devono perciò accompagnarsi ad un nuovo e rigoroso investimento sul valore dell’autogoverno locale che, soprattutto nella crisi, non va visto, così come ha fatto la destra, come una specie di malattia, ma piuttosto come una possibile medicina. A sua volta l’autogoverno locale deve offrire spazi e occasioni alla sussidiarietà, alle forme di partecipazione civica, ai protagonisti del privato sociale e del volontariato.


Diritti
Per i democratici e i progressisti la dignità della persona umana e il rispetto dei diritti individuali sono la bussola del mondo nuovo e la cornice generale entro cui trovano posto tutte le nostre scelte di programma.

La storia per altro insegna – e questa crisi lo conferma – che non esiste una gerarchia dei diritti e che l’azione per il loro riconoscimento e la loro affermazione vive di una tensione continua sul piano politico e sociale. In particolare, noi guardiamo oggi nel mondo alla lotta di popoli interi per la difesa dei diritti umani, a iniziare da quelli delle donne. E crediamo sia compito della politica, dei parlamenti e dei governi affermare l’indivisibilità dei diritti: politici, civili e sociali.

Anche su questo terreno l’Europa è per la politica dei singoli Stati un riferimento essenziale. A partire dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata per la prima volta a Nizza nel 2000 e dal Piano europeo di contrasto alle discriminazioni: di genere, orientamento sessuale, etnia, religione, età, portatori di differenti abilità.

Nel nostro caso questo significa l’impegno a perseguire il contrasto verso ogni violenza contro le donne e a una legge urgente contro l’omofobia. Sul piano dei diritti di cittadinanza l’Italia attende da troppo tempo una legge semplice ma irrinunciabile: un bambino, figlio d’immigrati, nato e cresciuto in Italia, è un cittadino italiano. L’approvazione di questa norma sarà simbolicamente il primo atto che ci proponiamo di compiere nella prossima legislatura.

Daremo sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte costituzionale, per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico

Su temi che riguardano la vita e morte delle persone, la politica deve coltivare il senso del proprio limite e il legislatore deve intervenire sempre sulla base di un principio di cautela e di laicità del diritto. Per evitare i guasti di un pericoloso “bipolarismo etico” che la destra ha perseguito in questi anni, è necessario assumere come riferimento i principi scolpiti nella prima parte della nostra Costituzione e, a partire da quelli, procedere alla ricerca di punti di equilibrio condivisi, fatte salve la libertà di coscienza e l’inviolabilità della persona nella sua dignità.


Responsabilità
L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo che democratici e progressisti hanno di fronte è quello dell’affidabilità e della responsabilità. Per questa ragione, nel momento stesso in cui chiamiamo a stringere un patto di governo movimenti, associazioni, liste civiche, singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto, vogliamo assumere insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti.


Le forze della coalizione, in un quadro di lealtà e civiltà dei rapporti, si dovranno impegnare a:
- sostenere in modo leale e per l’intero arco della legislatura l’azione del premier scelto con le primarie;
- affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionale;
- vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta;
- assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro;
- appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona.

I democratici e i progressisti s’impegnano altresì a promuovere un “patto di legislatura” con forze liberali, moderate e di Centro, d’ispirazione costituzionale ed europeista, sulla base di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni.

Abbiamo alle spalle il decennio di una destra impregnata di promesse e parole che hanno reso più confuse e opache la politica e l’azione del governo. Mentre davanti a noi l’ansia del cambiamento si sente con più forza. Noi – i democratici e i progressisti – questa volta non inviteremo a sognare. Insieme con il Paese che resiste e vuole ripartire apriremo bene gli occhi e ascolteremo. Assumeremo degli impegni. Discuteremo con la società consapevole i traguardi di un’Italia da rifare. Siamo pronti e non siamo soli. Siamo convinti di avere cose da dire, e soprattutto molte cose da fare. Per l’Italia, bene comune

Bersani: «Riconosceremo le coppie omosex» «Fedeli a Monti, ma pronti a ogni evenienza»



IL PD PRESENTA LA CARTA DI INTENTI

Il segretario Pd «vogliamo avviare un percorso di alternativa non a Monti ma alle destre». Impegni su coppie gay e lavoro

Pier Luigi Bersani (Ansa)Pier Luigi Bersani (Ansa)
«Il Pd è pronto ad ogni evenienza e ci vogliamo dare il nostro passo e tenere il nostro passo». Mentre sul tema controverso della coppie omosessuali «Daremo sostanza normativa al principio riconosciuto dalla Corte Costituzionale per il quale una coppia omosessuale ha diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico». Così Pier Luigi Bersani, presentando la carta di intenti del Partito Democratico e dei progressisti. Dunque il segretario del Pd ribadisce il sostegno al governo a Monti «ma traguardiamo alla conclusione naturale della legislatura avviando un percorso».
PRIORITA' LAVORO - «Per noi - ha aggiunto- il lavoro è al centro del programma e il primo passo da compiere è un ridisegno profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e sull'impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari». Quindi gli impegni europeisti: «Rilanceremo nella prossima legislatura il sogno degli Stati Uniti d'Europa».
ALTERNATIVI ALLA DESTRA - «Vogliamo avviare un percorso di alternativa non a Monti ma alle destre e alle loro politiche sbagliate» ha precisato Bersani. «Noi siamo quelli dei conti a posto, quelli delle riforme del mercato, quelli di Ciampi, di Padoa Schioppa -ha aggiunto- loro sono quelli dei conti che saltano e del deficit e del debito fuori dei binari. Non siamo noi l'avventrua, ma la solidità totale e questo non può essere messo in discussione». «L'Italia -spiega- ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. L'imperativo che democratici e progressisti hanno di fondo è quello dell'affidabilità e della responsabilità. Per questo mentre chiamiamo a stringere un patto di governo vogliamo assumere davanti al paese alcuni impegni espliciti e vincolanti».
PATTO DI LEGISLATURA - Tra i punti della carta di intenti con cui Bersani avvia il percorso per le elezioni c'è l'impegno dei democratici e progressisti «a promuovere un patto di legislatura con forze liberali, moderate e di centro, di ispirazione costituzionale ed europeista, sulla base di una responsabilità comune di fronte al passaggio storico unico ed eccezionale che l'Italia e l'Europa dovranno affrontare nei prossimi anni». E annuncia di voler continuare il dialogo a sinistra «Domani avrò un incontro con Vendola, giovedì con i rappresentanti del Terzo settore e così di giorno in giorno».
(da Corriere della Sera.It)

Un patto per i democratici e i progressisti


Martedì 31 luglio presentazione della Carta d'intenti

per il patto dei democratici e dei progressisti


Il Segretario del PD Pier Luigi Bersani, presenta martedì 31 luglio la Carta d'intenti per il patto dei democratici e dei progressisti. La presentazione si svolgerà alle 11.00 presso il Tempio di Adriano in Piazza di Pietra a Roma.

"Questo patto - si legge nella Carta d'intenti- si rivolgerà non solo alle forze politiche di ispirazione democratica e progressista, ma ad associazioni e movimenti, agli amministratori, alla cittadinanza attiva e alle personalità che intendano concorrere a un progetto di governo in grado di affrontare la grande crisi che stiamo vivendo." 

L’appuntamento sarà trasmesso in diretta da Youdem sul canale 808 della piattaforma Sky e in streaming sul sito www.youdem.tv.

lunedì 30 luglio 2012

Pd e Pdl ai ferri corti. Reciproche accuse sulla legge elettorale



Intervistati dai giornali del lunedì gli esponenti dei due principali partiti in parlamento giocano al massacro. Il Pdl: "Il P non vuole le preferenze, sono opportunisti". Il Pd: "Il Pdl vuole far cadere il governo Monti, ricattandoci con la Lega". E il premier è preoccupato

La naturale scadenza del mandato si avvicina, e i nodi vengono al pettine. Dopo aver procrastinato per reciproca convenienza l'appuntamento con gli elettori, ora Pd e Pdl devono decidere come presentarsi. Con quali regole. Ed è guerra. L'apparente pace del comitato ristretto si è presto rotta. Il Pdl ha annunciato di voler depositare una legge con la Lega, disegnata sul "modello francese", con elezione diretta del presidente della Repubblica, doppio turno, reintroduzione delle preferenze, eliminazione dei collegi e premio di maggioranza da assegnare al partito invece che alla coalizione. Per il Pd è come fumo negli occhi. L'elezione diretta del presidente della Repubblica è una vecchia diatriba che oppone destra a sinistra in Italia, per ragioni abbastanza ovvie, visto che approvare una legge elettorale del genere automaticamente imporrebbe una modifica costituzionale circa le prerogative del presidente, con un conseguente stravolgimento del quadro costituzionale ben più profondo di quanto non si voglia far credere.
 
D'altro canto la legge presentata da Pdl e Lega è un meccanismo ben congegnato che, per esempio, permette di tirare bardate pesanti all'avversario. Uno degli assi della riforma riguarda infatti la reintroduzione delle preferenze, argomento notoriamente caro all'opinione pubblica italiana, ma certamente mal digerito da alcuni esponenti del Pd. Ed è su questa "debolezza" che il Pdl ricama: "Non sopporto di essere accusato di voler fare un colpo di mano sulla legge elettorale. Noi vogliamo discutere, non creare lacerazioni, ma se anche il Pd discutesse al suo interno potrebbero mutare posizione visto che sulle preferenze sono in molti e autorevoli a essere favorevoli, come Letta, Fioroni e Bindi. Anche Casini vuole le preferenze e allora perchè dobbiamo fare quello che vogliono loro?", dice Maurizi Gasparri, capogruppo dei senatori del Pdl.
 
Ma è la stessa Bindi "favorevole alle preferenze" a dare l'altolà al Pdl, minacciando l'immediato ricorso alle elezioni con l'attuale Porcellum "che detestiamo". "Approfittano del nostro senso di responsabilità e della nostra volontà di cambiare questa legge per ricostituire la vecchia maggioranza con la Lega. Ma questo è un ricatto che non possiamo subire», dice l'esponente del Pd a La Stampa. «Se non siamo arrivati a un accordo - prosegue Bindi - è perchè, come per la tela di Penelope, Berlusconi distruggeva di notte ciò che di giorno costruivano le forze politiche». «Perchè - si chiede - dovremmo avviare la discussione sulla abse di un loro testo? La loro proposta è per certi versi tardiva e per altri provocatoria. In questo modo il Pdl usa la legge elettorale per rompere il vincolo che c'è tra le forze politiche che sostengono Monti. Ma in questo modo espongono il governo al rischio caduta».
 
L'accusa di ricreare la "vecchia maggioranza" è quella che più teme il Pd, certamente fiaccato nella sua "immagine" dopo l'appoggio a un governo che si è posto su una linea liberista e contraria a qualsiasi forma di welfare. Ma sugli accordi in sede parlamentare, certo, c'è poco da poter recriminare. Ed è infatti su questo punto che insiste il presidente vicario dei senatori del Pdl Quagliarello in un'intervista al Corriere della Sera: "Comunque il tutto andrà discusso in sede parlamentare, ecco perchè non comprendo tutto questo clamore. Tenderei a dire tanto rumore per nulla".
 (da Il Manifesto.It)
 

Ue, De Luca batte cassa per la litoranea


IL PIANO

Il sindaco presenta all'Europa un progetto di recupero

A Bruxelles con un piano da 80 milioni

SALERNO — Un piano di messa in sicurezza della fascia costiera salernitana, da Santa Teresa fino alla foce del Picentino, con una particolare attenzione per il tratto ad oriente di piazza della Concordia. Questo il progetto che il Comune di Salerno intende presentare all'Unione Europea nel prossimo mese di settembre, così come annunciato dal primo cittadino in occasione dell'ultimo consiglio comunale. Obiettivo conquistare uno dei venti finanziamenti riservati alle città italiane dal bando comunitario. «È un'occasione importante - dice l'assessore comunale all'Urbanistica Mimmo De Maio- considerato che queste risorse saranno assegnate direttamente alle amministrazioni locali. Per questo motivo stiamo lavorando per presentare un progetto dettagliato, e non certo una mera idea di massima, per la messa in sicurezza, il risanamento e la riqualificazione della fascia costiera, il tutto nell'ottica di una valorizzazione in chiave turistica della risorsa mare».
Un intervento, quello immaginato dal Comune di Salerno, di notevole portata, tanto che il suo valore stimato oscilla tra i 70 e gli 80 milioni di euro; fondi che Palazzo di Città spera appunto di poter ottenere dall'Unione Europea. Quanto ai principi ispiratori del progetto è ancora l'assessore De Maio ad illustrarli: «il risultato cui miriamo - spiega - è di arrivare a recuperare tutta la fascia costiera attenendoci a due criteri: in primo luogo garantire la sicurezza del litorale attraverso la realizzazione di barriere, di tipo diverso a seconda delle specifiche esigenze dei luoghi, e poi implementare le attività legate alla balneazione attraverso il ripascimento delle spiagge. La risorsa mare, a nostro giudizio, resta l'elemento fondamentale per la crescita economica della nostra comunità».

IL MODELLO - Modello per gli interventi di messa in sicurezza previsti dal progetto per cui sarà chiesto il finanziamento comunitario è quanto realizzato in via Leucosia, con la barriera protettiva parallela alla linea di costa.
Il progetto che sarà presentato a Bruxelles a settembre dovrà, naturalmente, integrarsi con gli altri interventi messi in atto nel corso degli ultimi anni per la riqualificazione del fronte mare, a partire proprio dal contestato intervento nell'area di Santa Teresa dove, con i problemi emersi in questi ultimi giorni, sta prendendo forma piazza della Libertà. «Una particolare attenzione - prosegue l'assessore all'Urbanistica- sarà riservata agli interventi nell'area orientale, interventi che andranno ad integrarsi con quanto si sta facendo o si farà con il Marina d'Arechi, il Polo Nautico ed il porticciolo di Pastena. Un intervento di particolare rilievo è quello che porterà alla creazione di un'area caratterizzata da un sistema di dune a protezione della costa, una sistemazione che porterà alla creazione di un parco naturalistico lungo la costa».
(da Corriere del Mezzogiorno.It)

Pensioni, Damiano: dati Inps positivi, serve correzione per esodati




Gli ultimi dati dell’Inps dimostrano che continua l’innalzamento dell’età pensionabile: siamo arrivati adaltre 61 anni di media superando la Francia ed avvicinandoci alla Germania. Tra pochi anni saremo i primi in Europa. Come ha nuovamente affermato il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, le precedenti riforme hanno funzionato, a partire da quella del governo Prodi che nel 2007 introdusse il sistema delle quote di anzianità. Su questa riforma il governo Berlusconi è successivamente intervenuto inserendo la finestra mobile di un anno e l’aggancio all’aspettativa di vita. Correzioni che non abbiamo condiviso perché innalzavano ulteriormente l’età pensionabile ma che non eliminando l’anzianità si muovevano in una logica di gradualità. Non così l’ultima riforma del governo Monti che ha abolito le quote lasciando improvvisamente scoperte centinaia di migliaia di persone che rimangono anche per quattro o cinque anni senza stipendio e senza pensione. Per questo riteniamo che siano illuminanti i dati forniti dall’INPS che confermano l’esigenza di apportare le necessarie correzioni all’ultima riforma, per mettere al sicuro tutti i lavoratori che hanno i requisiti per accedere al vecchio modello pensionistico. 

Spending review, Orfini: "PD ottiene vittoria per mondo cinema italiano"



Matteo Orfini  Matteo Orfini
"Il Centro Sperimentale di Cinematografia, la Cineteca nazionale e la Discoteca di Stato continueranno ad esistere. Siamo molto soddisfatti di avere ottenuto in Senato una vittoria tanto importante per la vita culturale italiana e non solo. La soppressione voluta dal PD delle norme della spending review che prevedevano la chiusura di quelle istituzioni culturali è un punto di partenza anche per riaprire una discussione seria e trasparente sulla preservazione e il rilancio del ruolo delle istituzioni e degli enti culturali e cinematografici, pubblici e semipubblici."

"Fermatevi, se continuate così siamo pronti a votare subito"



Intervista alla Presidente del Partito, Rosy Bindi, di Simone Collini -L'Unità. "Non subiremo ricatti. Se PDL e Lega forzano sulla Riforma Elettorale, la rottura sarà immediata. Approvare la legge a maggioranza, ricostituendo l'asse Pdl - Lega è inaccettabile. Il premio deve garantire governabilità"


«Sappiano che, se continuano così, per il bene del Paese siamo pronti ad andare a votare anche con questa legge elettorale che detestiamo», dice Rosy Bindi lanciando un chiaro messaggio al Pdl. «Approfittano del nostro senso di responsabilità e della nostra volontà di cambiare questa legge per ricostituire la vecchia maggioranza con la Lega. Ma questo è un ricatto che non possiamo subire. Che nessuno può chiederci di subire». 

Il Pdl dice che vuole presentare una proposta di legge elettorale per avviare la discussione in Parlamento: non è lecito, visto che da sei mesi discutete senza essere arrivati a un accordo? 

«Primo, se non siamo arrivati a un accordo è perché, come per la tela di Penelope, Berlusconi distruggeva di notte ciò che di giorno costruivano le forze politiche. Secondo, perché dovremmo avviare la discussione sulla base di un loro testo? Terzo, la loro proposta è per certi versi tardiva - perché arriva soltanto adesso, mentre il Pd ha depositato molto tempo fa in Parlamento un progetto di riforma elettorale dimostrando di voler veramente cambiare il sistema di voto - e per altri versi provocatoria. In questo modo il Pdl usa la legge elettorale per rompere il vincolo che c`è tra le forze politiche che sostengono Monti. Ma in questo modo espongono il governo al rischio caduta». 

Crisi di governo, con la conseguenza di andare al voto col Porcellum: non vorrete assumervi queste responsabilità? 

«Se rompe sulla legge elettorale è il Pdl che si assume la responsabilità della fine della legislatura. Votarsi da soli le riforme istituzionali è stata un`operazione grave ma inefficace, perché sappiamo che quanto è stato votato al Senato non passerà alla Camera. Ma votare una legge elettorale a maggioranza, ricostituendo la vecchia maggioranza, è inaccettabile. Loro hanno sempre confidato sulla nostra serietà, sul fatto che non vogliamo andare a votare con questa legge elettorale. Ma non possono continuare a giocare in questo modo: alla fine potremmo essere noi che non accettiamo più di essere sottoposti alle loro continue provocazioni». 

Cosa c`è che non va nel testo del Pdl? 

«Per noi il premio è fondamentale perché vogliamo che nel futuro ci sia effettiva governabilità. Allora è decisivo se il premio va al primo partito o alla coalizione». 

Ci si può sempre alleare con altre forze dopo il voto, se il premio di governabilità non fosse sufficiente a definire una maggioranza, non crede? 

«Ma allora non si capisce perché non si debba farlo con limpidezza davanti agli elettori, prima delle elezioni. La verità è che il Pdl sa di perdere e ha bisogno di una legge elettorale che o condanni il Paese all`ingovernabilità o costringa alle larghe intese. Nell`uno come nell`altro caso, non farebbe bene all`Italia». 

Le larghe intese è ciò che c`è oggi in Italia... 

«Sì, ma è una fase che per quanto ci riguarda non può continuare in futuro. Noi siamo stati diligenti, abbiamo fatto i "compiti a casa", sotto la guida del presidente del Consiglio e del Capo dello Stato, seguendo le indicazioni europee, abbiamo votato anche provvedimenti difficilmente ascrivibili alla nostra cultura e alle nostre aspirazioni. Però ormai è chiaro che la situazione non può migliorare se non si cambia strada». 

Cosa intende per cambiare strada? 

«Non si può continuare ad amministrare in base a scelte del passato, fatte dalla destra. C`è la necessità di un cambio di linea in Europa e c`è la necessità di avere una guida progressista in Italia. Il Paese deve essere pronto a farlo. Noi non manderemo mai a casa questo governo, non staccheremo mai la spina. Ma se ad un certo momento si arriva a constatare che ci sono le condizioni per anticipare il vo- to, il Paese deve essere in grado di farlo, con una nuova legge elettorale. Se il Pdl continua a giocare su questo, sappia che per noi il bene del Paese e il cambio di linea in Europa sono al primo posto». 

La Russa dice che non si può escludere la Lega, e effettivamente più volte voi in passato avete detto che le "regole del gioco" vanno discusse tutti insieme

«È vero, ma un conto è non escludere nessuno, un conto trovarsi di fronte a fatti compiuti dell`asse Pdl-Lega, che su giustizia, informazione, riforme istituzionali dimostrano di non aver mai interrotto l`alleanza. Noi ci siamo sempre assunti la responsabilità di approvare le misure rese necessarie dalla gestione fallimentare del precedente governo, non possiamo subire il ricatto del ricostituirsi della vecchia maggioranza. Non ce lo può chiedere nessuno». 

Casini dice che non trova "niente di lesivo" nella proposta di legge del Pd l: secondo lei ci si può fidare del fatto che non vi volterà le spalle? 

«Finora si è comportato bene, e sicuramente non ha tentazioni di ritorno nel centrodestra. Certo, è ancora convinto che serva una continuità con questa fase. E credo che su questo debba esserci un chiarimento tra di noi». 

E continuità con le politiche di Monti, in particolare con la linea del rigore seguita in questi mesi, dovrà esserci secondo lei?

«Nessuno come noi ha dato prova di sapere fare politiche del rigore. Noi abbiamo sempre lasciato i conti a posto, anche in situazioni drammatiche. Il punto è che, se non c`è crescita ed equità, non sono più possibili neanche politiche del rigore. Monti è consapevole quanto noi di questo, però se in Europa non torna una maggioranza progressista siamo condannati a rimanere all`interno di logiche e dinamiche proprie della destra, che ha prodotto la drammatica situazione in cui ci troviamo. Una discontinuità nei contenuti, nelle politiche, è indispensabile».

venerdì 27 luglio 2012

Bersani: voto in autunno? Prima la legge elettorale


Pierluigi Bersani
Pierluigi Bersani

"Sono veramente irritato". E' quanto ha dichiarato Pier Luigi Bersani sul via libera al semipresidenzialismo al Senato con il voto di Pdl e Lega.
"Non e' che se c'e' da salvare un deputato o un senatore dall'arresto o fare un'operazione propagandistica come questa -dice - possiamo ogni volta veder riformarsi la vecchia maggioranza". Per il segretario del Pd non ci sono "i tempi" ne' "la maggioranza" per approvare "un colpo di mano cosi'".
"Facciamo il semipresidenzialismo con un emendamento... ma lasciamo perdere... E' che Gasparri e compagnia hanno sempre in testa la storia dell'uomo solo al comando. E' sempre la'", conclude Bersani.

L'approvazione del semipresidenzialismo con il blitz di Pdl e Lega - spiega ancora Bersani - "e' uno sgambetto che forse ci impedira' di fare la riduzione del numero dei parlamentari che era la vera norma da fare".

Nonostante il voto "propagandistico" del Pdl e della Lega sul semipresidenzialismo, il Pd è pronto alla riforma della legge elettorale e pone solo due condizioni: un
premio "ragionevole" di governabilità e la possibilità di scegliere i parlamentari attraverso un meccanismo di collegi, spiega il leader del Pd. Ed aggiunge: "Non
intendo sottrarmi, anzi incalzo: per noi c'è il doppio turno di collegio, è la proposta migliore, ma ragioniamo. Pongo due paletti: la sera del voto gli italiani devono sapere che ci sarà qualcuno che governerà, sennò quella sera lì arriva lo tsunami.
Ci vuole un ragionevole premio di governabilità".
"Seconda cosa, - ha aggiunto Bersani - il cittadino deve potersi scegliere il parlamentare e per noi vale un meccanismo imperniato sui collegi. Con questi due paletti ci sono n soluzioni, siamo pronti a varie soluzioni. Siamo pronti domattina, già in agosto a passare in parlamento con una prima approvazione. Siamo pronti a
discutere, fermo restando quei due paletti. Sento dire che sono pronti anche loro, aspetto notizie".
Bersani parlando poi del tanto contestato articolo 18 ha sottolineato: "Non si è fatto abbastanza in merito alla precarietà. Bisogna riuscire a dare un po' di lavoro, al di la delle regole. L'economia è troppo bassa". Poi, parlando dell'imu, altro argomento scottante, ha detto:"Se fossi premier, la alleggerirei e la affiancherei con un'imposta sui grandi patrimoni".

Infine parlando della difficile situazione economica che sta attraversando l'Europa in questo periodo, Bersani ribadisce che per combattere la crisi: "bisogna accelerare l'approvazione dello scudo anti-spread".
(da RaiNews24.It)

Bersani da Monti punta i piedi sulla riforma della legge elettorale. Due maggioranze sono troppe


Pierluigi Bersani, segretario del PD
Pierluigi Bersani, segretario del PD

Bersani ha rappresentato al capo del Governo "l'esigenza che venga dato seguito alle decisioni prese al Vertice UE e che ci sia uno stato di allerta di tutte le istituzioni". E ha aggiunto: "Diamoci degli strumenti per governare questa fase. Il Pdl non lo capisce, lo dobbiamo fare per l'Italia. Quella sulle elezioni anticipate è una discussione stravagante, sono solo chiacchiere".
Due maggioranze? Troppe
Parole drammatiche, quindi, sul contesto generale della crisi; ma anche risentite sull'andamento dei rapporti all'interno della coalizione che sostiene il governo del professore bocconiano. Commentando il voto di ieri al Senato sul cosiddetto "semipresidenzialismo", il suo commento è stato insieme sconfortato e ironico: "Vogliono sempre un uomo solo al comando, che è sempre quello lì".
Sempre più spesso - denuncia insomma il segretario del PD - si rivede la "vecchia maggioranza" Pdl-Lega. Se tutte le volte che abbiamo da salvare un parlamentare dall'arresto o da fare qualche colpo di mano vediamo riproporsi la vecchia maggioranza non è certo salute, né per la stabilità né per il governo".
Niente vacanze per la nuova legge elettorale
Bersani ha anche dedicato un passaggio al tema delle nuove regole elettorali: "Non intendiamo essere portati a spasso. Abbiamo presentato proposte, siamo flessibili e pronti a stringere, non accetteremo che la prossima settimana si vada in vacanza. Se la destra vuole battere palla si assuma responsabilità". Si arriverà comunque, e presto, a un chiarimento. Di questo Bersani si dice sicuro: "Noi siamo pronti, assolutamente flessibili, siamo andati a discutere diverse ipotesi ma tutte le volte vengono ribaltate con un pretesto''.
Spending review
La spending review su sanità e enti locali "non va bene", secondo il segretario del PD: "Contiamo in questi giorni - ha aggiunto - che su un paio di punti ci sia una riflessione molto attenta, innanzitutto sul tema degli enti locali e e sui risparmi della sanità. Così non va bene. Risparmiare si può, ma non così, non in questo modo. Tenendo i saldi, perché non siamo agit prop, siamo un partito di governo".
La conclusione è come al solito condita col buonsenso che distingue la retorica pubblica di Pierluigi Bersani: "Non voglio aggiungere problemi a problemi, ne abbiamo già tanti. Ma vorrei richiamare tutti a un senso di responsabilità".
(da RaiNews24.It)

Sindaco di Taranto: grazie pm ora voltiamo pagina


Ilva, Taranto 26 luglio 2012
Ilva, Taranto 26 luglio 2012

"Vorrei ringraziare la magistratura, perche' se non si fa luce e giustizia non si risolvono i problemi. E adesso, dopo aver accertato che quella industria inquinava e produceva morti possiamo voltare pagina". Lo afferma in una intervista alla Stampa il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, sottolineando che "l'accordo siglato a Roma rappresenta una svolta per il futuro" della citta'. 

"330 milioni di euro da spendere per le bonifiche, l'ambiente - spiega - non sono parole e promesse ma certezze". Una "risposta per coniugare bene il diritto alla salute, al lavoro, alla qualita' della vita". Per il sindaco "e' comprensibile la tensione e la preoccupazione dei lavoratori che temono di perdere il lavoro e io mi sento di esprimere loro la massima solidarieta'. Ma deve essere chiaro che la magistratura deve andare fino in fondo, accertare i fatti e fare giustizia". 

L'assembleaNel corso dell'assemblea svoltasi questa mattina nello stabilimento Ilva di Taranto, un gruppo di lavoratori ha contestato il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, durante il suo intervento, che il sindacalista ha poi regolarmente concluso. Palombella fino a due anni fa e' stato segretario provinciale della Uilm a Taranto. "Io - ha detto all'Ansa Palombella - sono legato ai lavoratori dell'Ilva e i lavoratori sono legati a me, ma probabilmente in questa situazione drammatica forse si sentono abbandonati".

Il sequestroL'intera area a caldo dell'Ilva di Taranto e' stata messa sotto sequestro preventivo; otto persone, tra dirigenti ed ex dirigenti del Gruppo Riva e dello stabilimento tarantino, agli arresti domiciliari. Sono le misure disposte dal gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco nell'ambito dell'inchiesta sull'inquinamento ambientale prodotto dall'azienda siderurgica piu' grande d'Europa. Immediata la protesta dei lavoratori metalmeccanici che hanno invaso a migliaia la citta'. I sindacati Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato uno sciopero ad oltranza. Per questa mattina e' stata indetta una assemblea dei lavoratori all'interno dello stabilimento.
(da RaiNews24.It)

"La situazione è molto grave. Le istituzioni devono stare in allerta, a cominciare dalla Bce"


Dopo l'incontro con il premier Mario Monti a Palazzo Chigi, il Segretario del PD, Pier Luigi Bersani ha spiegato a margine di una conferenza stampa alla Camera, i temi al centro del colloquio. "Abbiamo riflettuto assieme su una situazione economica e finanziaria molto molto preoccupante, c'è l'esigenza di dare seguito alle decisioni del vertice europeo. Sulla spending review ci sono cose che sosteniamo e vogliamo rafforzare e 2-3 punti come Sanità e Regioni da cambiare".


Bersani e Monti
"Abbiamo riflettuto assieme su una situazione economica e finanziaria molto molto preoccupante, c'è l'esigenza di dare seguito alle decisioni del vertice europeo e la necessità di uno stato di allerta da parte di tutte le istituzioni". Così il Segretario del PD, Pier Luigi Bersani ha spiegato a margine di una conferenza stampa alla Camera, uno dei temi al centro del colloquio con il premier Mario Monti, svoltosi questa mattina a Palazzo Chigi.

Tra le istituzioni, Bersani ha citato la Banca Centrale europea. "Siamo in una situazione veramente molto seria - ha avvertito - e penso che se le cose peggiorano ancora, la Banca centrale europea dovrà pensare a intervenire. Adesso il presidente Monti girerà per la Finlandia, l'Olanda... ci rendiamo conto tutti che le risposte tecniche ci sarebbero tutte, il problema è che nel continente c'è stato un ripiegamento su dimensioni nazionali, territoriali, anche con tratti egoistici e invece è in corso il meccanismo dei dieci piccoli indiani".

Altro tema oggetto del colloquio con Monti è stato la spending reviewe Bersani ha fatto presente che "ci sono cose che sosteniamo e vogliamo rafforzare e 2-3 punti su Sanità e Regioni da cambiare. Contiamo che su questi punti ci sia una riflessione molto attenta. Cosí non va bene. Risparmiare si puó, ma non cosí tenendo i saldi, perchè non siamo agit prop, ma un partito di governo, bisogna riaprire i tavoli con i soggetti interessati'.

Bersani ha concluso richiamando la politica ad un senso di responsabilità: "ll problema non è Monti. Qui il problema è quello della maggioranza parlamentare che non abbiamo risolto. Quel che manca all'Italia è un indirizzo univoco di maggioranza parlamentare. E per questo vorrei richiamare tutti al senso di responsabilità: non so se non c'è più una maggioranza o ne abbiamo addirittura due. Se vediamo, come ieri, riproporsi la vecchia maggioranza, questo non è certo salute ne' per stabilità nè per governo ne' per nessuno", ha detto attaccando il vergognoso ok del Pdl e della Lega sul semipresidenzialismo.



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Già ieri il Segretario del PD ospite a Sky Tg24 aveva parlato di attacco all'EuroRiforma della Legge Elettoralespending reviewEnti Localivoto sul semipresidenzialismoImu. "Se lo scudo salva spread non funziona, la Bce deve fare la sua parte".