SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CIRCOLO DI VIETRI SUL MARE

SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CIRCOLO DI VIETRI SUL MARE

giovedì 24 ottobre 2013

Un Piano del lavoro per avere più benefici a parità di risorse

Un Piano del lavoro per avere più benefici a parità di risorse

Il commento di Laura Pennacchi - L'Unità



La legge di stabilità va nella «giusta direzione» ma con «passi insufficienti» o è la direzione in quanto tale, oltre all`insufficienza dei passi, a dover essere sottoposta a scrutinio critico? La legge di stabilità da 11,6 miliardi di euro che al suo cuore ha una riduzione del cuneo fiscale, peraltro di limitatissimo impatto quanto a maggiore salario netto e a maggiore occupazione - si muove nel solco delle linee di policies imposte a tutti i Paesi europei dalla Germania. 

È a queste linee generali, quindi, che bisogna risalire, mettendone in luce la filosofia complessiva, per valutare la natura e la possibile efficacia della legge di stabilità, più che rimanere all`interno della sua logica concentrandosi su eventuali incrementi o decrementi di singole poste o sul gioco degli spostamenti dall`una all`altra o, peggio, su nefasti e impossibili più cospicui tagli di spesa. 

Non promette, infatti, nulla di buono la novità che viene dalle autorità tedesche ed europee per poter finalmente esibire una qualche concretezza nel perseguimento dell`agognata crescita economica: l`insistenza nell`affiancare all`«austerità rigorista» le cosiddette «riforme strutturali». Per quanto riguarda l`austerità non si prende atto che essa non poteva che fare fallimento, visto che, mentre si supponeva che il moltiplicatore fosse di -0,5 (cioè che a un punto di deficit in meno corrispondesse mezzo punto di Pil in meno), l`effetto delle strette fiscali è stato molto più negativo, perché i moltiplicatori arrivano perfino a 2, il che vuol dire che, se per 10 miliardi di euro di manovra di aggiustamento era stata stimata una contrazione del Pil di 5 miliardi, l`impatto recessivo effettivo è stato, in realtà, di 20 miliardi. 

Cosa denunciata da tempo dallo stesso Fmi e ancor più acclarata da Mario Nuti, il quale dimostra (su Insight) che «tanto maggiori sono i moltiplicatori fiscali, e tanto maggiore è l`indebitamento pubblico, tanto maggiore è la probabilità che il consolidamento fiscale abbia l`effetto perverso di far aumentare il rapporto debito pubblico/Pil», il che spiega perché l`Italia, nonostante l`enormità delle manovre di finanza pubblica effettuate, veda oggi tale rapporto salito al 133%. 

Ma l`odierna insistenza sulle «riforme strutturali» come veicolo certo della crescita non rappresenta un avanzamento. Essa segnala uno spostamento di attenzione da parte di Berlino e di Bruxelles sui problemi della crescente divergenza delle strutture produttive e delle bilance commerciali tra Paesi in surplus (Centro) e paesi in deficit (Periferia). 

Uno spostamento di attenzione che sarebbe meritorio se non fosse spinto a condannare i Paesi «divergenti» (quelli della Periferia e del Sud d`Europa) a ulteriori strette punitive, invece che a interrogarsi sulle ragioni reali che hanno fatto sì che la convergenza in nome della quale era stato creato l`euro sia andata smarrita, non ultimi i guadagni impropri che la Germania ha ricavato in favore delle proprie esportazioni da un euro sistematicamente sottovalutato rispetto al vecchio marco tedesco. 

Ma così non si vede quanto tale divergenza sia dovuta a differenziali salariali e di produttività non compensati da aggiustamenti del tasso di cambio reale e quanto sia aggravata dagli interventi della Bce che, resesi necessari per compensare l`arresto del flusso di capitali versi i Paesi in deficit, hanno finito con il generare una distribuzione asimmetrica della liquidità all`interno dell`unione monetaria. Un meccanismo congiunto che crea un vantaggio competitivo per i paesi del Centro, offrendo loro non solo un mercato di sbocco per i propri beni e servizi ma anche un basso costo del capitale e del credito.

Dalla cecità di Berlino e di Bruxelles nasce la filosofia della «svalutazione interna» propugnata per i Paesi periferici, tra cui l`Italia: deve essere posta al primo posto una visione della competitività propugnata soprattutto in termini di intensificazione delle esportazioni; per sostenere le esportazioni, in mancanza della possibilità di ricorso alla svalutazione di una moneta nazionale di cui non si dispone più, bisogna attivare una «svalutazione interna» volta a flessibilizzare i mercati del lavoro e a ridurre i costi di produzione per via fiscale mediante il contenimento del costo del lavoro; a tutto ciò vanno associati piani stringenti di privatizzazione e non a caso il governo Letta accelera il programma «Destinazione Italia» pensando alla vendita di quote di società pubbliche, compresa la collocazione sul mercato del 3,4% di Eni e fino al 10% di Snam e di Terna. 

Dunque, l`enfasi sulla riduzione del cuneo fiscale e del costo del lavoro è figlia di questa filosofia complessiva, la quale presenta limiti gravi. Il primo è quello di rilanciare una visione tradizionale della crescita economica e della competitività tutta centrata sulle esportazioni, trascurando gravemente la domanda interna, che in Italia dal 2002 al 2012 ha visto una dinamica negativa dell`1,6%, a fronte di un incremento del 9 nell`area Euro e di addirittura del 15 negli Usa. Il secondo è la necessità di traguardarsi su valori particolarmente critici perché la filosofia possa avere significativi effetti anche in termini di rilancio delle esportazioni. 

Poiché la Spagna in sei anni ha registrato un miglioramento di ben 10 punti di Pil della bilancia commerciale «dovuto anche a un miglioramento del costo del lavoro per unità di prodotto ottenuto attraverso un massiccio processo di licenziamenti» come documenta Ruggero Paladini su Insight, a Berlino e a Bruxelles pensano forse che l`Italia debba fare altrettanto aumentando la disoccupazione. Con il che, però, il vero significato delle «riforme strutturali» sarebbe quello di porci di fronte non solo alla mancanza di volontà politica nel perseguire l`obiettivo della «piena e buona occupazione», ma addirittura all`assunzione intenzionale - quindi pienamente politica - dell`obiettivo opposto: generare disoccupazione per alimentare la competitività e le esportazioni. 

Solo un grande Piano del lavoro di diretta iniziativa pubblica può costituire l`alternativa: oltre a garantire un impiego delle risorse con gli effetti moltiplicativi maggiori a parità di oneri per il bilancio pubblico, darebbe vita a investimenti pubblici e a progetti volti intervenire sulla domanda interna e a colmare i deficit di offerta nazionali in campi strategici (territori, città, scuola, cultura, innovazione e ricerca), ponendo le basi di un nuovo modello di sviluppo.

Fonte: L'Unità

Nessun commento:

Posta un commento