Cuperlo: "Ora la mia sinistra riparerà a quei silenzi sul Mezzogiorno"
Gianni Cuperlo - La Gazzetta del Mezzogiono
Forse non serve la palla di cristallo per immaginare il grido d'allarme, l'ennesimo, del nuovo Rapporto Svimez. Se chiedo ospitalità però è per dire qualcosa che i contenuti di quella e tante relazioni simili dovrebbe precedere e che ha a che fare con la cultura e il sentimento del Paese nei confronti del Sud.
Ho letto le polemiche seguite alla manifestazione di Renzi a Bari e alla sua rimozione del capitolo Mezzogiorno. Vorrei dire che il problema non riguarda tanto il sindaco di Firenze ma è più serio e antico. Investe l'Italia tutta, la sua classe dirigente, l'opinione pubblica che conta, i grandi media che per anni il Sud lo hanno rimosso alimentando i luoghi comuni più triti, origine a loro volta di una stagione di ostilità. Cos'è stato se non questo il federalismo padano usato come arma contundente? Può darsi che la crisi di Lega e Berlusconi riduca il malanimo, e però l'abbandono, la dimenticanza, quelli restano, e più vitali che mai. O partiamo da qui oppure il rischio è che la polemica si risolva in una schermaglia di stile. Invece il tema è serio. Per l'avvenire dell'Italia, addirittura decisivo.
Negli anni che abbiamo alle spalle la destra il suo mestiere più o meno l'ha fatto. La questione meridionale è divenuta la questione dei meridionali o peggio una questione criminale, come se legalità e lotta alle mafie non riguardassero da tempo la penisola tutta. I governi a trazione nordista sono stati i più antimeridionalisti della storia repubblicana. Su queste colonne non serve ricordare la redistribuzione alla rovescia fatta col saccheggio dei fondi per gli investimenti. Ma anche a sinistra il declino dell'idea di uguaglianza ha fatto scemare, a oltre 150 anni dalla nascita dello Stato, la tensione all'unità del Paese, unità economica e sociale, di opportunità e compimento di sé.
Detto ciò il pensiero critico e democratico, in quell'Italia che gli arabi dicevano «troppo lunga», si sono sempre abbeverati ai pozzi dell'impegno meridionalista. Oggi, bisogna dirlo, anche a sinistra abbiamo perso quella consuetudine tanto da faticare ben prima di Renzi persino a pronunciare la parola. Forse temendo che dire Sud non creasse consenso. E che queste regioni fossero al massimo un luogo dove il consenso lo si veniva a raccogliere o a barattare. Per tutto questo credo che al centrosinistra tocchi il dovere di una svolta vera, almeno se vuole sfidare la logica del tempo. In questo senso l'immagine di un «Mezzogiorno, palla al piede» non solo è volgare ma sciocca.
La frontiera della nostra crisi è a Sud, nei paesi che si affacciano su quel Mare a cui l'Europa ha voltato le spalle in una spirale di egoismo che le tragedie nel Canale di Sicilia ci rovesciano addosso. Ma sarà solo a partire da queste aree che potremo avviare una ripresa solida dello sviluppo. Sì è vero, nel Mezzogiorno i problemi si accentuano e deformano, ma rimane la parte d'Italia dove le potenzialità per uscire dalla crisi potrebbero esprimersi al meglio. Non abbiamo davanti una terra desolata, ma un luogo simbolico, quasi la sintesi o la biografia di una nazione intera. Dove ultimi e penultimi soffrono, e dove giovani di talento non vengono valorizzati.
Eppure l'eccellenza qui vive, eccome se vive, salvo che andrebbe messa a sistema. In regioni come la Puglia, a pochi chilometri di distanza, puoi trovare i campi dove donne di cinquant'anni tornano a raccogliere pomodori a 30 euro a giornata e gli scantinati di Barletta dove si è potuto morire per 3 euro all'ora, ma basta spingersi poco più giù, a Monopoli, e scopri lo stabilimento fondato da due trentenni «emigrati» come tanti e che però hanno deciso di tornare per produrre l'aereo superleggero più veloce al mondo. Ora esportano in una ventina di paesi, danno lavoro buono, mostrano cosa può fare il Sud, ma non dimenticano la salita e i giorni duri quando nessuna banca era disposta a uno straccio di credito. A quanti come loro in questi anni è stata chiusa la porta? E quante risorse abbiamo perduto? Anche per questo l'austerità da queste parti ha prodotto più guasti che altrove con un crollo di redditi e consumi che si è scaricato sulla metà più fragile del Paese, e questo non si può accenare.
Serve una terapia d'urto, un piano straordinario per creare occupazione e combattere povertà vecchie e nuove, un piano da concordare con l'Europa. Di fronte a una crisi che impatta la vita delle persone, i comportamenti sociali, la demografia, di fronte a una perdita di risorse umane, imprenditoriali, finanziarie, non c'è più tempo. Di tutto questo, e di cosa fare insieme per guardare al dopo, parleremo domenica a Napoli. Lo faremo nella convinzione che al Sud la sinistra italiana ma vorrei dire, quella europea non si gioca un'elezione e tanto meno una campagna congressuale. Qua ci giochiamo una missione, la funzione che saremo in grado di assolvere per risanare il tessuto non solo economico e sociale, ma culturale e morale di un'Italia, mai come oggi, da ricostruire.
Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno
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