Intervista a Matteo Orfini, La Stampa, 01 luglio 2013
“Porre ora la questione del segretario che deve essere anche candidato premier mi pare privo di senso. Su facebook è nata la mozione “poi vediamo”. Ecco, poi vediamo. Manca qualche mese al congresso, le elezioni addirittura sono lontane, e noi eleggeremo intanto un segretario. Poi se si scoprisse che è Maradona, nessuno ci impedisce che sia anche candidato leader”. Matteo Orfini è beffardo col suo omonimo Matte, Renzi. Orfini è il più intelligente dei quarantenni cresciuti con D’Alema. Se ne è distaccato, deo gratias, è stato tra i pochi a criticare Bersani e il suo gruppo dirigente, se non altro per la scarsa attitudine all’autocritica. E’ uno che ha digerito a fatica le larghe intese, perché conosce bene la base; però le ha digerite.
Quindi anche stavolta non la pensa come Renzi?
“Io lo capisco, non si fida, dobbiamo ricostruire un rapporto di fiducia nel partito; ma chiunque sarà il candidato premier, se il Pd sarà malmesso non avrà nessuna possibilità di essere eletto. Per questo abbiamo bisogno di qualcuno che lavori sul Pd”.
Renzi non sarebbe un valore in più vincente di per sè?
“Ma chiunque sia candidato vince solo con un Pd forte. Sicuramente Renzi è uno dei leader più forti, ma probabilmente non è l’unico, ci sono altre personalità che stanno crescendo. E non c’è nessuna Madonna pellegrina”.
Però cosa significa un Pd forte? Un Pd che magari, intanto, riconosce i suoi errori, il distacco dai suoi elettori?
“Io lo dissi a Bersani già prima delle elezioni, ricordo un convegno al Crs. Non avevamo una parte, ci mancava stare in una parte, che io penso debba essere la parte più debole del Paese, i giovani, i ceti popolari. Aver eluso la dimensione della sconfitta è una delle responsabilità più gravi del gruppo dirigente di cui ho fatto parte”.
I sondaggi dicono no, al momento, ma stare in questo governo vi costerà caro, non crede?
“Certo se va avanti così noi pagheremo un prezzo molto alto. Il Pd dovrebbe far pesare di più la sua forza, nel governo. Finora non è successo. Se stiamo lì per votare la Santanchè vicepresidente della Camera – cosa che io mi rifiuto di fare, anche se credo non succederà – allora perdiamo, Renzi o non Renzi”.
Siete ancora placidi alleati con un interdetto in primo grado. Lei è contro l’ineleggibilità vero?
“La legge del ’57, non io, lo è”.
E se invece a settembre la Cassazione confermerà l’interdizione nel processo sui diritti Mediaset?
“In quel caso è certo che Berlusconi decade, e noi voteremo la decadenza”.
Non crede che uno dei problemi del Pd sia superare un dibattito solo geografico, candidato-di-destra-o-di-sinistra, e lavorare a un ragionevole, laico interclassismo?
“Fino a un certo punto. Dipenda da cosa si intende per interclassismo. La fine della lotta di classe sì. Ma il fenomeno del nostro tempo è un grande problema di disuguaglianze, è quello il punto di una sinistra vera. Mi pare tra l’altro che Renzi, col documento Gutgeld, va anche lui a sinistra e abbandoni Zingales e Ichino. Ma se è a sinistra, perché si candida? Voti Cuperlo”.
Ecco, Cuperlo. Uno in grado di citare Rilke; già un merito, peraltro. Ma al Pd non serve anche ritrovare un linguaggio per quell’Italia che vi ha mollato?
“Lo puoi fare con la via più facile, con un’icona pop. E funziona, può andar bene. Oppure, e è la vita che amo di più, riportando il tuo popolo a un’idea di comunità, di partito. Per questo il nome perfetto è Cuperlo”.
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