Intervista a Giuseppe Civati di Goffredo De Marchis - La Repubblica
«Mi candido alla segreteria per uscire dalle larghe intese. Non possiamo stare in eterno con il Pdl». Pippo Civati correrà per la guida del Pd. Lo ha annunciato in maniera solenne alla fine del «Politicamp», la riunione organizzata a Reggio Emilia cui ha partecipato anche Fabrizio Barca. «D`Alema dice che questa esperienza di governo finisce nel 2015. Ecco, io sono per anticipare i tempi».

«La mia risposta a Boccia è: anche no. Non si pongono condizioni in un dibattito che dev`essere aperto, libero. E il congresso del partito è utile a capire come usciamo da questa situazione. Io capisco bene che non è facile staccare la spina. Questo è anche il nostro governo, Ma prima o poi dobbiamo metterci nelle condizioni di salutare la compagnia. Penso prima del 2015».
Ha lo stesso obiettivo di Renzi, dunque.
«Matteo vuole forzare, ha un traguardo personale da raggiungere. Io invece non cerco forzature e non affronto il tema a cuor leggero. Ma che si debba ritrovare una nostra identità, beh su questo non ho dubbi».
Un`identità di sinistra secondo lei.
«Al Politicamp c`era Sandra Zampa, la portavoce di Prodi, e non credo si possa ascrivere alla sinistra. Io ho ottimi rapporti con Prodi e con Rodotà, anche se non gli tiro certo la giacca per portarli dalla mia parte. Sono in campo con alcune posizioni di partenza e l`alleanza con Sel è una di quelle, ma ho un atteggiamento laico: sono pronto a cambiare in corsa idee e obiettivi».
Con Grillo invece la rottura è definitiva?
«Mi sono affezionato alla metafora del «cane da riporto» evocata da Grillo. Voglio riportare nell`alveo del centrosinistra i tanti elettori che hanno votato 5stelle per darci un segnale. Se invece parliamo del lavoro in Parlamento come si fa a non cercare un confronto. Grillo definisce Letta capitan Findus. Ma il vero capitan Findus è lui: ha congelato i suoi eletti».
Non c`è niente di buono che questo esecutivo possa fare per il Pd?
«Una nuova legge elettorale per esempio. Però non accetto di sentirmi dire che non si può immaginare un dopo, che in caso di crisi non si va nemmeno a votare. Quello che voglio fare è cominciare un percorso. Riportare le truppe a casa, anche gradualmente come si fa nelle missioni di pace. Ma quando dico casa non penso alla Grande coalizione».
Fonte: La Repubblica
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