Matteo Renzi in questi giorni ha sostenuto, peraltro legittimamente, che chi guiderà il PD nei prossimi anni avrà innanzi tutto, il compito di occuparsi dell’Italia e di dire come vorrà cambiarla.


Noi dovremmo occuparci dell’Italia e di noi stessi anche per un’altra ragione, che è più di fondo, più profonda; che attinge nelle pieghe di una realtà, quella dell’Italia di oggi, tremendamente aspra. Una lunga transizione incompiuta si è chiusa con l’ammutinamento dei 101 deputati sul voto a Prodi, con il governo PD-PDL, con una crisi (quella democratica, drammatica, durante le fasi più concitate dell’ultima elezione del Presidente della Repubblica) che in un’altra Repubblica si sarebbe risolta, molto probabilmente, con un governo di militari, tanto l’irresponsabilità e l’infantilismo ha preso il sopravvento.
A dispetto di quello che ha scritto in un meraviglioso poemetto Elsa Morante, il “mondo (non può essere ) salvato dai ragazzini”. Per questo l’atteggiamento di fronte al futuro dell’Italia e al futuro del PD , stavolta, deve essere maturo. Le due cose si tengono insieme. Italia e Partito Democratico.
Il PD non è funzione di sé. Non è una formula astratta che va bene, indifferentemente, da quello che succede nel paese. Non è una confederazione di correnti che si contrastano per vedere chi si dovrà occupare del potere, se mai ci capiterà più di vincere (davvero) le elezioni.
Il PD ha senso se fa parte della vita dell’Italia. Se respira e gli batte il cuore per effetto dei conflitti, della realtà, della precarietà senza risposte che taglia l’Italia un’altra volta in due, come negli anni '50.
Servizi pubblici, scuola, lavoro, famiglie, riforme dello Stato. Di questo deve occuparsi il PD, per l’Italia. Di questo deve parlare il PD se vuole fare del suo Congresso non un’altra occasione persa, ma la svolta vera, quella che dà un’identità, un pensiero, un contenuto a una “forma” che ancora non c’è.
Il dibattito sul Segretario, se deve o non deve essere il candidato, quella sulle primarie aperte o le primarie chiuse sono il modo peggiore di discutere, per fare qualcosa che abbia senso. Gli Statuti si scrivono alla fine dei Congressi, non prima. Le regole sono costituzioni, sono gli ideali che diamo, non una burocrazia di lettere maiuscole.
C'è un “partito che governa” con l’ansia addosso e il fiato sul collo del “partito che pensa allo Statuto”. Altra zavorra, invece dell’ossigeno delle idee.
Alla lunga, un partito così non serve, cuocerà nell'acqua sua, là, dove gia sta cuocendo.
E se cerchiamo di inseguire e di somigliare a tutto, alla fine, non somiglieremo più niente e sarà la morte peggiore. Realismo e speranza devono andare d’accordo.
Si chiedeva l’eterno Kant: “che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Cosa mi è lecito sperare?”
A queste domande dovremo dare risposte. Non di statuti "a priori". Ma di grandi idee, di grandi lotte, di grandi esempi.
nicola landolfi
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