SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO CIRCOLO DI VIETRI SUL MARE

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venerdì 28 giugno 2013

Bassolino: «Caro de Magistris, oltre ai toni cambia carattere»

L'INTERVISTA

Bassolino: «Caro de Magistris,
oltre ai toni cambia carattere»

L'ex governatore accusa il sindaco di Napoli
di continuare con lo scaricabarile

Antonio BassolinoAntonio Bassolino
NAPOLI — Cominciamo dal gioco della torre? Antonio Bassolino è dietro la sua scrivania, nella Fondazione Sudd, un po' perplesso per la verità. Non ama i giochi. Non li ha mai amati. «Proviamoci», dice.
Chi butta giù tra Marchionne e Landini? «Butto Marchionne».
Tra Berlusconi e Monti? «Monti. Perché c'è tutto il popolo berlusconiano con il quale bisogna parlare, e perché non convincere qualcuno del Pdl anche a votare per noi?».
Tra Renzi e Vendola? «Nessuno dei due. Perché abbiamo bisogno di entrambi per rilanciare un progetto di centrosinistra».
Tra de Magistris e Caldoro? «Questa volta butto tutti e due». Com'è diventata Napoli? «È una città imbruttita e incattivita. Per ragioni generali, non solo locali. È come se vi fosse una crisi della costituzione civile della città, a cui si può far fronte solo unendo, aprendo, creando ponti e relazioni non certo spaccando e scassando».
Non crede alla svolta di de Magistris? Il sindaco nell'intervista rilasciata a questo giornale ha usato toni molto diversi dal passato. «Io ascolto la città e soprattutto la amo. Me lo auguro che si tratti di una svolta. La situazione è difficile dappertutto, la crisi è pesante ovunque e a Napoli si sente più che altrove. Abbiamo un aggravarsi della situazione, una crescita delle aree di povertà senza che vi sia alcuno strumento di contrasto, aziende che chiudono ogni giorno e fenomeni sociali gravi come l'usura. Mi sembra giusto sottolinearlo».
Ma? «La crisi è chiaro che si ripercuote anche sulla politica. Il cambio di tono di de Magistris è apprezzabile, perché in politica anche i toni contano, ma sono il segno della difficoltà che l'amministrazione avverte e dinanzi alle tante proteste non si può più far finta di niente».
Presidente, arriviamo al dunque? «Il dunque è che dopo due anni un sindaco dovrebbe essere in piena luna di miele con la città».
Anche se è un sindaco col portafoglio vuoto? «Eccerto. Non è l'unico ad aver ereditato un disastro. Perciò, dopo due anni, non si può avere contro sempre più pezzi di città interi, continuare a cambiare assessori. Se i toni mutati si accompagnano a una riflessione politica e a un diverso rapporto con la città bene. Altrimenti...».
Altrimenti? «Faccio un esempio semplice semplice. Se in un laboratorio chimico ripeti per 99 volte l'esperimento che ha portato de Magistris alla vittoria, il risultato non si ripeterebbe, de Magistris non farebbe il sindaco. Ci sono state variabili particolari: l'autolesionismo del Pd, la scelta di un candidato, Morcone, persona squisita ma sconosciuto sia a me sia a Bersani figuriamoci ai napoletani, il candidato di centrodestra avversato dal suo stesso schieramento e la scarsa partecipazione al voto, fenomeno che sta crescendo ed è sottovalutato».
Nelle grandi città si eleggono ormai sindaci di minoranza. «Esatto e la consapevolezza di questo dato avrebbe dovuto far capire a de Magistris che era necessario aprirsi subito alla città, non solo ai partiti che lo avevano votato al secondo turno. Invece ha fatto il contrario. L'errore non è stato quello di occuparsi di politica nazionale, un sindaco ha il diritto-dovere di farlo, ma di avventurarsi in una strada politica minoritaria. Così facendo la sua risicata maggioranza iniziale s'è ridotta ancora di più e questo ha determinato l'isolamento di Napoli. Partendo da questo c'è l'interrogativo per il futuro».
Ma se un assessore non funziona, il sindaco ha il dovere di cambiarlo, no? Lo ha fatto anche lei da presidente di Regione. «Io l'ho fatto alla fine e non all'inizio. Ma a parte questo, Narducci se n'è andato e altri sono stati cambiati, il problema è che tutte queste rotture non sono mai state accompagnate da una riflessione pubblica. E poi siamo sicuri che il problema fosse il loro?».
Cioé lei dice il problema è de Magistris. «Bè, l'impressione che dà è che è refrattario al confronto, alla discussione vera, al ragionare su altri punti di vista, non si mette in discussione. È chiuso in sè e quando si crea il conflitto non è risolvibile perché non è nella sua cultura politica. Non riflette su stesso e sul suo modo di governare, sposta sugli altri il problema».
Cioè scarica sugli altri i suoi limiti? Questo sta dicendo? «Ma insomma mi pare evidente: una volta è colpa degli assessori, l'altra dei dipendenti o dei funzionari che non firmano. Ha fatto diventare Anna Donati una pasdaran di un'operazione poco meditata, mentre era evidente che era stato lui a forzare i tempi e le modalità. Tra l'altro con il rischio di fare passi indietro sulle Ztl che sono invece una strada giusta. Ma se chiudi soltanto e non pensi a potenziare i mezzi pubblici, ad avere decoro e ordine, diventa un boomerang. Mirella Barracco giustamente ha richiamato l'attenzione e non può ogni critica essere trasformata in disfattismo. Perciò la domanda da fare a de Magistris è: può cambiare il suo carattere, il suo modo di governare o no? Se è in grado allora andrà avanti, altrimenti è prevedibile lo scoppio di altre crisi».
A proposito di trasporti, la Campania è a piedi, non crede che qualche stazione dell'arte in meno e qualche treno in più sarebbe stato meglio? «Eh no, faccio autocritica su tutto, ma in questo campo la facessero Caldoro e Vetrella. Le stazioni dell'arte non c'entrano nulla, la quota di fondi europei utilizzata per l'architettura è del 2 per cento. Per il funzionamento invece oltre ai fondi nazionali che sono diminuiti, vengono investite risorse regionali e in tre anni al trasporto sono stati tagliati 450 milioni di euro. È una scelta politica, fatta da Caldoro. Per questa giunta regionale i trasporti non sono una priorità. Per me Caldoro parla in modo incomprensibile: dice che bisogna salvaguardare il diritto alla mobilità. Davvero?».
Lei sente ancora di far parte del progetto Pd?Lunghissimo silenzio «Da tempo vivo con sofferenza il mio rapporto col Pd. L'ultima tessera ce l'ho, però è evidente serve riflettere sui problemi di fondo. Sono tra i fondatori di questo partito e tra i pochi che dieci anni prima volevano fondare il partito dell'Ulivo, ma oggi il Pd resta un progetto incompiuto».
Ma pensa di andarsene? «Il punto non è cosa farò io. La mia sofferenza è quella di tanti e si è acuita negli ultimi tempi. Ma insomma, nel Pd non si è discusso dell'andamento della campagna elettorale, tutti erano convinti di avere la vittoria in tasca quando invece era chiaro che il Pdl stava salendo nei consensi e Grillo stava spiccando il volo. Ho cercato di dirlo, ma ho avvertito silenzio e un senso di fastidio. Nel '77 a Castellammare stemmo giorni e notti a riflettere sulle elezioni. Ed erano comunali. Ora c'è stato lo spostamento di milioni di voti e nessuno ha fiatato. E poi i rapporti umani: siamo alla barbarie, gelosie, ripicche. Come è possibile?».
Ora c'è il congresso. Forse, perché la data cambia ogni giorno. «E speriamo che almeno in quell'occasione ci sia la possibilità di una discussione aperta. Altrimenti non mi interessa».
Non mi dica che vuole continuare a fare soltanto il nonno. «Allora le dico che vado in montagna per qualche giorno».

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