L'accusa contro di me è il colpo numero 102
«L'intesa in assemblea è saltata alla luce del sole, non ci sono dubbi su chi la voleva e chi no. Se non ritroveremo l'unità, daremo una prateria alla destra» l'Unità - Maria Zegarelli

Bersani, i sospetti sembrano aver avvelenato i pozzi del Pd. Su di lei pesa quello di aver tentato di far slittare il congresso. Si aspettava questo clima da sfida finale?
«In questa caotica discussione sento arrivare verso di me delle insinuazioni, o peggio delle accuse, che mi dipingono come un mestatore: agli antipodi di quello che sono. Vorrei dire agli uni e agli altri soltanto una cosa: mi si lasci in pace. Ho smesso di fare il segretario ma non ho smesso di ragionare per la ditta, con le mie idee, ma per la ditta e alla luce del sole. Non accetto che mi si attribuiscano manovre. Questo, francamente, è difficile da sopportare».
Renzi si scaglia contro un gruppo dirigente "rancoroso" che vuole impedire congresso e primarie. Ce l'ha con lei?
«Sono stanco di dover rispondere a queste affermazioni. Credo che sia stata una cosa incredibile e umiliante quella avvenuta durante queste settimane: una discussione tutta su date e regole. Dal mio punto di vista una comunità che si fosse fidata di se stessa avrebbe dovuto pronunciarsi sulla data più ravvicinata, senza togliere al territorio la possibilità di discutere nei congressi, proponendo ragionevoli modifiche allo Statuto che aiutassero questo percorso. Nell'Assemblea, invece, tutto questo è saltato alla luce del sole, non mi sembra ci siano dubbi su chi voleva le modifiche e chi no. Ma adesso chiudiamo questo capitolo, l'Assemblea ha indicato una data, L'8 dicembre, delle procedure a Statuto vigente e voglio credere che chi sin qui ha alimentato teorie complottistiche non stia alla finestra e voglia prendersi la responsabilità di gestire ciò che l'Assemblea ha deciso su tempi e procedure con lo Statuto che abbiamo».
Questo è un compito della Direzione. Secondo lei si arriverà ad un accordo?
«Voglio augurarmi che ci si mettano alle spalle date e regole ed è per questo che faccio un appello alla Direzione: si prendano un paio di punti politici che fin qui sono rimasti totalmente inevasi e si affrontino finalmente».
Non saranno proprio i nodi politici non affrontati che hanno portato al disastro di sabato scorso?
«Nasce tutto da lì. La prima riflessione deve riguardare la nostra responsabilità verso l'Italia e il governo e chiedo alla direzione di mettere al centro del suo dibattito le seguenti questioni: noi possiamo fare del governo l'oggetto del congresso? Possiamo nel congresso giocare a palla con il tema del governo facendo un regalo così incredibile alla destra e Berlusconi? E d'altra parte la vediamo o no la difficile sostenibilità politica di questa fase? La vede anche Enrico Letta quando ripete che non si può governare a tutti i costi. Io sono convinto che l'agenda politica dobbiamo gestirla in modo attivo ma questo lo si deve fare tutti insieme, come fa una squadra».
Ma c'è una squadra? Dopo quello che si è visto in Assemblea vengono molti e fondati dubbi, non crede?
«Questo è il mio cruccio. Noi abbiamo delle responsabilità davanti al Paese e fino ad ora non abbiamo dimostrato di essere una squadra. La Direzione deve ripristinare questo senso dello stare insieme, con l'aiuto dei candidati, disegnando il perimetro entro il quale deve restare la discussione. È possibile che teniamo in mano noi la palla dell'incertezza politica? Se abbiamo una decisione da prendere lo si fa tutti insieme, non possiamo dare alibi alla destra. È un tema di cui tutti dobbiamo sentire la responsabilità, spetta a noi, tutti insieme, decidere quale sia l'agenda, quanto sia sostenibile questa fase, come prevenire i trucchi della destra. Altra questione: vogliamo dare un titolo a questo congresso? In questo è fondamentale l'apporto di tutti i candidati».
Lei che titolo gli darebbe?
«Al tornante di vent'anni di storia italiana il mio titolo sarebbe: "quale partito democratico per quale sistema politico, per quale idea dell'Italia"».
Ma questo è un congresso che si celebra con un leader del Pd a Palazzo Chigi e un aspirante segretario che punta alla premiership.
Come crede che sia possibile tenere fuori questo elemento?
«È chiaro che se arriviamo ad un congresso che si orienta a decidere 1'8 dicembre su un candidato premier senza che l'attuale premier si possa candidare
si mette in campo un elemento di confusione. La mia proposta è sempre stata quella di non rendere automatico che il segretario sia anche il candidato premier. Credo che spetti a tutti i candidati affrontare in Direzione questo problema e risolverlo con unità. Se non accadrà noi offriremo una prateria alla destra».
Adesso tutto passa nelle mani della Direzione, ma ammetterà che l'Assemblea ha dato l'immagine di un partito dove ognuno andava per conto suo, proprio come accadde con l'elezione del presidente della Repubblica. La domanda è: si può recuperare un disastro di queste proporzioni?
«Le rispondo con una domanda che mi è già capitato di fare: vogliamo essere uno spazio politico o un soggetto politico? Uno spazio lo perimetri con quattro regole, non c'è bisogno di solidarietà di fondo. Un soggetto politico prevede sì regole, ma esige una solidarietà di fondo, una capacità di vedersi da fuori, sapendo che si ha un compito verso il Paese, che le responsabilità sono fuori dal luogo in cui ti incontri. L'Assemblea ha riproposto questo problema, dobbiamo correggerlo perché noi non siamo più a quattro anni fa, quando eravamo lì a lavorare sul rimescolo ed era in dubbio anche se fossimo un partito nazionale... Quelle cose lì le abbiamo risolte, siamo un partito centrale, presente e radicato nel Paese. Adesso la questione è la maturità di questo processo, la capacità di decidere per il Paese. Aver visto durante l'Assemblea che è ancora in dubbio la solidarietà di cui parlavo è stato un dolore ed essere stato sospettato di manovre lo è stato ancora di più».
Paolo Gentiloni la invita a fare un passo indietro, anzi ad uscire di scena, insieme a tutta la classe dirigente che ha portato il Pd a questo punto. C'è anche chi fa notare che ancora ha un suo ufficio al Nazareno.
«Sì, ho sentito anche questa. Mi sembrava che, ovviamente per un tempo limitato, ricevere le persone in una piccola stanza del Pd fosse una cosa utile. Il segno cioè che dopo quattro anni non me ne ero andato sbattendo la porta del mio partito. Anche questo viene equivocato. Ho già detto al tesoriere che la stanza è libera».
Bersani, Renzi parte dal Lingotto, punta ad un Pd che vince da solo.
«Uno sguardo al sistema politico, così come è messo adesso, dovrebbe indurre a ritenere il Pd centrale, ovviamente, ma addirittura autosufficiente mi sembra azzardato. Inviterei anche su questo a una riflessione perché gli scambi di battute non possono sostituire un dibattito vero. Discutiamo di quale Pd per quale sistema politico noi vogliamo lavorare. Parliamo di politica per piacere».
A proposito, la Merkel vince sola ma non basta.
«Se guardiamo l'Europa ci rendiamo conto che dove c'è benessere spunta la destra o il centrodestra, dove c'è malessere spuntano sfiducia e populismi. La sinistra deve uscire da questa morsa, senza cedere ai contenuti della destra, né cedere ai linguaggi del populismo. Continuo a pensare che la chiave sia quella di un riformismo radicale, di combattimento, ma saldamente democratico, partecipativo, che sia espresso da formazioni politiche di una sinistra plurale, molto aperta ma con un suo principio d'ordine. La situazione in Germania ci ha detto questo».